Si è tenuto stamattina al centro Alberto Sordi in via Plaja l'ultimo incontro della manifestazione nazionale conclusiva del progetto Ma che spazio mi rappresenta?, il laboratorio sulla socialità finanziato dall'Ue in cui i ragazzi di cinque regioni d'Italia hanno realizzato dei video-reportage su realtà e carenze dei loro luoghi d'appartenenza. Un momento di discussione, dibattito e confronto con i rappresentanti dei Comuni, utile anche a capire le diversità tra Nord e Sud. Ma nella città etnea la situazione resta critica
Spazi sociali, dialogo tra giovani e istituzioni Arci Catania: «Tenerli chiusi è una follia»
«Lamministrazione di Verbania e la rabbia di Catania». Questo slogan, a metà tra la maggiore efficienza del Nord e la voglia di riappropiazione dei catanesi, riassume in pieno il senso dell’incontro nazionale conclusivo di Ma che spazio mi rappresenta?. Un progetto sulla gestione degli spazi «per la socialità, per la cultura e per la creatività» che, dallo scorso novembre, ha coinvolto ragazzi e associazioni no profit di cinque diverse regioni dItalia in «attività di mappatura del protagonismo e della partecipazione giovanile» tramite la produzione di video-reportage che raccontano la situazione dei luoghi sociali nelle loro rispettive città, prendendo spunto dalle realtà presenti e indagando su quello che, invece, manca.
Un’iniziativa – realizzata grazie ad un finanziamento dallUnione europea – promossa e coordinata da Arci Catania. E che proprio nella città etnea ha raggiunto in questi giorni la sua fase conclusiva: un incontro nazionale al centro Alberto Sordi di via Plaja in cui circa quaranta giovani provenienti da Sicilia, Puglia, Toscana e Lazio hanno presentato le rispettive esperienze e hanno condiviso i lavori realizzati a livello locale nel corso di questi mesi. Con la possibilità di confrontarsi direttamente con i rappresentanti delle istituzioni nel corso di una giornata dedicata. Ad emergere sono stati una serie di spunti, fondamentali per migliorare il rapporto, spesso conflittuale, tra le due parti. Parole chiave: frontalità, confronto, partecipazione attiva, coinvolgimento dei giovani. Da contrapporre al problema dell’«incomunicabilità».
I questi giorni i partecipanti hanno incontrato gli amministratori di dieci Comuni siciliani e toscani (Empoli, Catania, Nicolosi, Misterbianco, Paternò, Acireale, San Gregorio, Messina e Barcellona Pozzo di Gotto). In cui, grazie ad attività di gruppo alla pratica innovativa del dialogo strutturato, hanno discusso insieme di problemi e possibili soluzioni. Da una parte e dall’altra. Con una doppio scopo: instaurare un dialogo tra cittadini e istituzioni, ma proporre anche un raffronto e uno scambio tra dimensioni diverse del territorio italiano.
Tra i rappresentanti delle istituzioni presenti anche Niccolò Balducci, giovanissimo assessore del Comune di Empoli alle Politiche giovanili. «Le differenze ci sono, l’Italia è lunga. E il confronto tra le diverse esperienze è sempre positivo», spiega a CTzen. Nei ragazzi catanesi Balducci ha notato «una maggiore voglia di confrontarsi rispetto a chi vive al Nord». Un bisogno legato anche al concetto di democrazia. «E’ un dovere ascoltare tutti – dice – soprattutto chi è meno ascoltato come i giovani». Che, secondo il giovane assessore, dovrebbero riprendersi da soli le occasioni di discussione «anche con i mezzi tradizionali come la rappresentanza e il “rompere le scatole”». Dall’interno. Perché «fare politica e prendere posizioni in quest’ambito non significa necessariamente sporcarsi le mani», conclude.
Ma la situazione degli spazi sociali nella città etnea resta critica. «A Catania ci sono realtà interessanti e si possono trovare anche delle soluzioni, solo che spesso non vengono messe in atto perché non si conoscono o per motivi di tipo politico», sottolinea Saro Rossi dell’Arci. Il motivo? «Le amministrazioni non hanno i soldi e le politiche giovanili sono l’ultima ruota del carro». Ma ai giovani catanesi una cosa non manca di certo. «La rabbia: abbiamo gli spazi e le energie e la voglia per gestirli, ma restano chiusi», afferma l’organizzatore.
Un aiuto per risolvere le criticità potrebbe essere ancora una volta il dialogo tra giovani e istituzioni. Che però «non è facilissimo – afferma Rossi – e si deve cambiare metodo, non applicando le solite metodologie formali di discussione in cui c’è sempre da una parte il funzionario e dall’altra chi fa le richieste e dove non esistono collaborazione e confronto». Durante l’incontro, invece, «abbiamo proposto una novità, che è quella di lavorare insieme, sullo stesso piano». Senza tavoli, senza piedistalli, senza barriere. «Occasioni come questa – afferma l’organizzatore – permettono di ragionare con calma e con il contributo di tutti sulle possibili soluzioni, ma anche di demolire tanti stereotipi sui diversi ruoli dei soggetti coinvolti».
A riprova delle difficoltà, Rossi porta due esempi. Innanzitutto la scarsa presenza di amministratori all’incontro. «Abbiamo contattato rappresentanti delle istituzioni di tutti e 58 i comuni della provincia: ci aspettavamo di più e si poteva fare meglio», dice. Ma anche l’episodio vissuto in prima persona dai membri dell’Arci etnea per ottenere il centro Alberto Sordi, ex cinema Concordia e ora gestito dal Comune. «Ci sono stati chiesti in cambio 300 euro al giorno più un contributo extra per il personale», racconta Rossi. Ma consultando il regolamento del dicembre 2011 per l’assegnazione degli spazi comunali – «che esiste ed è pure sul sito ma che non conosce nessuno» – si evince che «le associazioni di volontariato e di promozione sociale possono godere gratuitamente dell’assegnazione temporanea di uno spazio per svolgerci attività di impatto sociale», racconta. «Solo facendo presente questa clausola del regolamento siamo riusciti ad avere il centro Sordi senza dover pagare».
Per questo, afferma Rossi, «i giovani devono imparare a conoscere le regole, soprattutto a Catania in cui da parte dell’amministrazione c’è un atteggiamento che non aiuta e i diritti te li devi conquistare». Gli strumenti tecnici ci sono, «se c’è la volontà di metterli in atto», sottolinea. Sopratutto in una città che soffre per parecchie «ferite aperte, come lo sgombero dell’Experia e che lotta per ottenere quello che gli spetta, come il lavoro al campo San Teodoro». Realtà occupate e che nel corso degli anni non sono mai riuscite ad ottenere l’assegnazione di uno spazio. Eppure, secondo il regolamento comunale, «la concessione non si limita ai periodi brevi, ma è prevista anche a lungo termine, fino a due o tre anni in convenzione».
Ma non è facile ottenerla. «A dicembre l’Arci ha fatto richiesta per uno spazio in centro storico, ma non abbiamo ancora ricevuto risposta. Riproveremo», assicura Rossi. E, intanto, l’associazione rilancia con alcune iniziative in cantiere. «Stiamo lavorando per organizzare un secondo progetto sulla socialità giovanile, ma stavolta in ambito internazionale, sempre tramite l’Ue, coinvolgendo altri paesi europei», anticipa. Senza mollare la presa sull’attuazione del regolamento per l’assegnazione a lungo termine degli spazio alle realtà cittadine che operano nel sociale. «In città ci sono moltissimi centri chiusi, come l’ex cinema Midulla e i locali di via Zurria e tenerli inutilizzati è una follia. Sarà necessario lavorare».