Quasi 40mila euro. E' la cifra stanziata dalla Regione Sicilia per lavori di somma urgenza alla testimonianza archeologica etnea. Una somma con la quale si potrebbe anche riaprire una parte adesso chiusa al pubblico. Il tutto se si risolverà il blocco delle case regionali che, al momento, fa sì che nemmeno i bagni vengano puliti. Se non dai custodi e dalla stessa sovrintendente Maria Elena Volpes
Si sbloccano i lavori all’anfiteatro romano Ma intanto tutti i beni rischiano la chiusura
Da un lato la possibilità di recuperare parte di uno dei beni archeologici di Catania. Dall’altra il concreto rischio di chiusura non solo di quel bene, ma di quasi tutti quelli cittadini. E’ il paradosso vissuto in questi giorni all’interno del Parco archeologico greco romano etneo. A cui, a inizio maggio, la Regione Siciliana ha destinato quasi 40mila euro per interventi di somma urgenza all’interno dell’anfiteatro romano di piazza Stesicoro. Una somma che permetterebbe non solo di tamponare alcune emergenze – evidenziate nella videoinchiesta pubblicata da CTzen ad aprile -, ma forse anche di aprire al pubblico una parte del bene finora chiusa. Intanto, però, negli stessi uffici la situazione è invivibile, dopo la scadenza il 31 maggio del contratto di pulizia non rinnovato. Tanto da spingere la nuova sovrintendente Maria Elena Volpes – appena insediatasi al posto di Fulvia Caffo e di ruolo anche a Palermo – a pulire da sola, con le sue mani, i bagni della sovrintendenza etnea.
Il 9 maggio Sergio Gelardi, nuovo dirigente generale dell’assessorato regionale ai Beni archeologici, firma un documento che impegna 150mila euro nel bilancio dell’anno in corso per lavori di somma urgenza in tutta l’isola. Di questa somma, 38.828,96 euro sono destinati all’anfiteatro romano di Catania. Una richiesta fatta dall’ex sovrintendente Fulvia Caffo, prima di venire sospesa a seguito del ricorso del collega Salvatore Scuto, soprattutto per mettere in sicurezza la struttura di tubi innocenti – ormai corrosi dal tempo – che sostiene anche la sovrastante villa Cerami, sede del dipartimento di Giurisprudenza dell’università di Catania. Ma quasi 40mila euro sono una cifra consistente per il parco archeologico etneo – delegato dalla Regione alla tutela del bene -, abituato a sopravvivere con 500 euro l’anno. E, nel 2014, nemmeno quelli.
Così, con parte di quella cifra, si pensa anche di buttare giù uno dei tamponamenti che chiudono il collegamento tra l’ambulacro (il corridoio dell’anfiteatro, ndr) interno e quello esterno della struttura. L’idea è quella di effettuare dei carotaggi per capire cosa sta dietro questa parete – forse gonfia, come altre, di liquami delle fogne comunali – e, se la volta della struttura tiene, abbatterla per permettere di collegare i due corridoi, prima della porzione di anfiteatro pericolante. In questo modo, una parte della struttura oggi chiusa verrebbe riaperta al pubblico.
Una vittoria, se non fosse che intanto ad essere a rischio è l’intera gestione delle testimonianze archeologiche etnee. A fine maggio è infatti scaduto il contratto regionale per la pulizia di beni e uffici. Rapporto non rinnovato per la mancanza di soldi nelle casse siciliane, dovuta al blocco della finanziaria. Gli uffici di tutta l’isola non vengono puliti dal primo giugno, a eccezione della sola sede centrale Palermo. E così i bagni dei monumenti. A Catania, i custodi hanno deciso di fare da sé, pur di scongiurare la chiusura degli uffici. Una custode ha pulito uno dei bagni al teatro greco-romano e lo apre ai turisti, su richiesta. Negli uffici del parco, a occuparsi della pulizia dei servizi sono i custodi notturni. Ma nessuno pensa al resto della struttura.
Una situazione che, in burocratese, è anche colpa dei dirigenti etnei. Sei al solo parco archeologico – alcuni senza incarico, ma con un contratto di ricerca e studio – e con stipendi che, sommati, pesano per 400mila euro l’anno. Nessuno di loro ha mai scritto in Regione per ricordare la scadenza del contratto di pulizia e chiedere di indire una nuova gara. Un documento che sarebbe comunque rimasto lettera morta – come detto informalmente dagli uffici di Palermo – a causa dell’assenza di risorse, ma che avrebbe inchiodato la Regione alle sue responsabilità. L’impressione è quindi quella di voler scongiurare la chiusura degli uffici per non doversene addossare la colpa. Non chiudere a qualunque costo e nonostante i disagi. Almeno fino a quando le condizioni igienico-sanitarie non allerteranno l’Asp.