Sequestrata una cava abusiva nel parco dell’Etna Scavi non autorizzati anche dopo il primo sequestro

Un’area di circa 90mila metri quadrati e un impianto di frantumazione non autorizzato sono stati sequestrati all’interno del parco dell’Etna, in contrada Fra Diavolo a Belpasso, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico. Il valore complessivo del sequestro ammonta a circa un milione 500mila euro. Quattro persone sono state denunciate.

Nella cava, che era già stata sottoposta a controlli e in parte sequestrata nel 2019, i carabinieri del nucleo operativo ecologico (Noe) di Catania, nel corso delle verifiche, hanno riscontrato nuove escavazioni abusive di basato lavico. Oltre all’intera area e all’impianto di frantumazione, sono stati sequestrati anche tre escavatori, due autocarri e tutti i locali utilizzati come uffici. I militari, inoltre, hanno denunciato all’autorità giudiziaria il legale rappresentante e tre dipendenti sorpresi a operare gli scavi abusivi e l’attività di frantumazione non autorizzata. 

A febbraio dello scorso anno, era già stata sequestrata una parte della cava ed era stata denunciata la titolare dell’azienda La cava dell’Etna che la gestisce. Adesso, gli appostamenti sulle colline circostanti hanno permesso ai carabinieri del Noe, guidati dal comandante Michele Cannizzaro, di assistere agli scavi e di procedere al sequestro complessivo di tutta l’area. 

Già all’epoca del primo sequestro, le autorizzazioni dell’azienda erano scadute e non erano state ulteriormente prorogate dal distretto minerario di Catania. L’area, infatti, non sarebbe compresa nel cosiddetto Piano cave e, quindi, non potrebbe più ottenere alcuna autorizzazione anche perché una parte del terreno ricade in Area D della zona protetta, sottoposta a speciali vincoli paesaggistici

Quello delle cave abusive in Sicilia è uno scempio che ha creato una voragine grande quanto 62 campi da calcio. A farne le spese sono l’ambiente, violentato senza alcun controllo, il mercato del ciclo del cemento, drogato nei prezzi a causa dell’illegalità diffusa, e le casse di tutti i siciliani, visti i mancati pagamenti per gli oneri di concessione alla Regione. Un giro d’affari di diverse decine di milioni di euro, fiutato anche dalla criminalità organizzata


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