Dopo la testimonianza, a Catania, del collaboratore ritenuto vicino agli 007, il boss parla in un colloquio con i familiari a Secondigliano. Al centro del dialogo ci sarebbe la soddisfazione per la versione dell'ex reggente sul ruolo dell'imprenditore Sebastiano Scuto nel clan mafioso etneo. Diversa da quella sostenuta dalla procura
Scuto, parole e silenzi del pentito Di Giacomo Il capomafia Laudani: «Una bella dichiarazione»
Un’intercettazione ambientale assolutamente inedita, mai comparsa nella storia processuale che dal 2001 accompagna l’imprenditore Sebastiano Scuto. Il dialogo è andato in scena il 16 luglio del 2010 nel carcere di Secondigliano, a Napoli, ed è contenuto tra le migliaia di pagine dell’ordinanza di custodia cautelare I vicerè. L’operazione antimafia che lo scorso mese ha decapitato la famiglia mafiosa dei Laudani con oltre cento arresti. A parlare davanti a una schiera di parenti è Sebastiano Laudani, il patriarca ultraottantenne che ha fondato l’omonima cosca mafiosa conosciuta anche come i mussi di ficurinia. Sono gli anni del declino, che segnano il tradimento e la collaborazione con la giustizia di due punte di diamante: il nipote Giuseppe e il killer ed ex reggente Giuseppe Maria Di Giacomo.
«Io mi sono preso di più di collera quando è stato di Di Giacomo», spiega l’anziano boss facendo riferimento al pentimento del capomafia di Aci Catena. Per lui, racconta ai familiari, «c’era una grande stima, forte veramente». A questo punto del colloquio alle parole si aggiungono gesti e movimenti che vengono trascritti dai militari del Ros. Dietro quelle movenze ci sarebbero significati precisi. «Questo ha fatto una bella dichiarazione», prosegue il padrino quando viene interrotto dalla nipote Grazia con dei colpi alle mani per «non dire cose troppo compromettenti», scrivono gli inquirenti. Il patriarca però prosegue nel suo ragionamento e aggiunge dei dettagli a bassa voce per chiarire il discorso: «Per Scuto», spiega. Le movenze delle sue mani non lascerebbero spazio a dubbi. Il boss muove il pollice davanti la bocca in senso orario e antiorario. Cosa significa quel gesto? Per il Ros sarebbe «l’apprezzamento da parte del boss detenuto per il fatto che il collaboratore di giustizia aveva sostanzialmente tenuto esente» Scuto da responsabilità.
Questo ha fatto una bella dichiarazione
L’imprenditore, originario di San Giovanni La Punta, è accusato da anni di aver costruito i suoi successi con i supermercati a braccetto proprio con i Laudani. Per questo è stato condannato in primo grado e per due volte in Appello, ma la parola «fine» non è stata ancora scritta. Dopo un primo passaggio in Cassazione, la suprema corte è stata chiamata nuovamente a decidere. Il nome di Di Giacomo, nella vicenda processuale dell’ex re della grande distribuzione, irrompe alla fine del 2009. Dopo il pentimento viene chiamato a testimoniare e con le sue parole in aula discolpa Scuto: vittima di estorsioni, secondo quest’ultimo; finanziato dai Laudani con piena consapevolezza, per la procura di Catania. Di Giacomo diventa anche il protagonista di accesi confronti con altri collaboratori. Faccia a faccia drammatici con scambi d’accuse e versioni contrastanti proprio sulla gestione di Scuto da parte del clan.
Nell’udienza del 10 dicembre 2009 il presidente Antonio Maiorana è il mediatore del confronto con il collaboratore Alfio Lucio Giuffrida. Secondo quest’ultimo Di Giacomo con le sue dichiarazioni starebbe difendendo Scuto e glielo rinfaccia senza mezzi termini. «Io non difendo nessuno ma agisco con verità e onestà», replica l’ex reggente. Nonostante la presa di posizione Giuffrida insiste: «Lui sa benissimo che Scuto era nelle mani della famiglia e ci andavamo per i soldi». Milioni per comprare armi secondo Giuffrida, normali estorsioni da elargire a Natale e Pasqua per Di Giacomo.
Il nome di Di Giacomo compare anche nel cosiddetto protocollo Farfalla. Un elenco, risalente al 2004, formato da otto boss al 41bis che avrebbero accettato soldi per parlare in maniera confidenziale con i servizi segreti del generale Mario Mori. Somme di denaro che sarebbero state date dagli 007 a dei soggetti esterni, incaricati dai padrini di incassare per loro conto. Tra gli spifferi e le testimonianze fornite dal killer di Aci Catena ci sono quelle su faccia da mostro. L’ex poliziotto con il viso deturpato Giovanni Aiello che avrebbe agito da elemento borderline con i servizi segreti negli oscuri meandri dei più misteriosi assassinii di Sicilia.