San Cristoforo, patria del malaffare E trampolino di iniziative culturali

Abitato da artigiani, pescatori e operai, San Cristoforo è il quartiere più grande e antico di Catania. Se da una parte, però, rappresenta il cuore pulsante delle attività popolari in tutta la loro storicità, dall’altra è la patria del degrado urbano e covo della più radicata criminalità catanese. Si estende lungo tutto il percorso di via Plebiscito e comprende rioni più piccoli considerati come veri e propri quartieri. Uno di questi è la zona tra piazza Risorgimento e piazza Palestro, meglio nota come U Furtinu (Il Fortino), il cui ingresso è delimitato dalla Porta Garibaldi. Mentre nella parte più bassa di via Plebiscito, ad un passo dal Duomo nei pressi del mercato storico, è più corretto parlare di zona Castello Ursino. Ma anche la zona del Faro, il Tondicello, e via Concordia sono considerate dagli abitanti aree a sè.

Una vera e propria città nella città in cui vige un solo codice, quello del quartiere. Qui le persone hanno un forte senso di appartenenza. In molti casi anche un piccolo slarglo o una strada servono ad identificare chi vi abita. «Se sei del quartiere, se ci vivi o lo frequenti loro lo sanno. E se ti fai i fatti tuoi ti rispettano e non ti toccano». Così Valeria, nata e cresciuta a San Cristoforo, racconta la sua quotidianità con il malaffare. Figlia di tappezziere, lei, lo spacciatore all’angolo della strada, lo incrocia ogni giorno.

«La Repubblica di San Cristoforo» l’ha definita un operatore del commissariato di polizia del quartiere. La criminalità organizzata si muove e lavora con facilità, coperta e appoggiata dagli abitanti, molti appartenenti alle famiglie mafiose Santapaola, Cappello e Mazzei – Carcagnusi. Importantissimo è lo spaccio di droga. Un vero e proprio supermercato, marijuana e cocaina in particolare, in molti dei dedali di vie del quartiere. «Da gennaio ad oggi, sono 112 gli arresti per spaccio nel quartiere, mentre nel 2008 sono stati soltanto 25» racconta l’agente di polizia. «Il traffico di stupefacenti garantisce entrate facili e con pochi rischi. L’organizzazione è capillare, parliamo di circa 10 mila euro al giorno per ogni piazza di spaccio. Il tondicello della playa e via Colomba sono le più note».

Il quartiere è pressoché abbandonato dall’amministrazione comunale. Un atteggiamento evidente nel degrado urbano: tra strade sporche, marciapiedi rotti e discariche abusive che convivono con le abitazioni. Numerosi sono poi i palazzi fatiscenti a rischio crollo e quelli abbandonati. «Tanti potrebbero essere gli esempi – afferma Carmelo Coppolino, presidente della prima municipalità – L’ex Consorzio Agrario di via Colombo è abitato dagli zingari, mentre l’ex Manifattura tabacchi in piazza San Cristoforo, che doveva essere un museo regionale, è chiusa. Così come il mercato di via Belfiore, diventato una latrina, una discarica a cielo aperto delle macellerie. Eppure potrebbero essere delle perle per l’intera città» conclude. Accanto, in via Zuccarelli c’è poi il centro culturale Midulla. Anche questo, «riaperto da un anno circa, è come abbandonato», dice Valentina Riolo, consigliere della municipalità. «Apre solo due giorni a settimana per il servizio biblioteca. Mentre la palestra e gli altri locali non vengono utilizzati per mancanza di personale. Tanto valeva lasciarlo chiuso».

Un quartiere povero dove tuttavia, di fronte a tanto abbandono, le iniziative per rivalutare la zona non mancano Proprio qua, infatti, sono numerose le realtà di volontariato come il Gapa, presente con le sue attività sociali da ormai vent’anni. Altre sono più giovani. È il caso dei Giardinieri do liotru, un comitato spontaneo nato per ripulire il quartiere e ricreare gli spazi di verde pubblico che mancano. O ancora l’Orchestra Popolare ospitata e sovvenzionata dalla chiesa valdese.

Ma c’è anche chi cerca di rimettere in moto l’economia locale puntando su iniziative culturali, come l’associazione Alan Lomax che organizza concerti, mostre e spettacoli teatrali e ha sede proprio nel cuore di San Cristoforo.

Due facce della stessa medaglia, quindi. Tanto attivismo da un lato quanto degrado sociale e urbano dall’altro. «E pensare che la maggior parte della classe dirigente di Catania è nata e cresciuta là. Abbandonare questo quartiere è come sputarsi in faccia» tuona Coppolino.

Federica Motta

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