Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha firmato una nuova direttiva ritagliata su misura addosso alla nave Mare Jonio dell’ong Mediterranea saving humans che, proprio due giorni fa, è ripartita dal porto di Marsala dopo essere stata dissequestrata. Nel documento indirizzato a polizia, carabinieri, guardia di finanza, marina militare, capitanerie di porto e capo di Stato maggiore della Difesa, il leader della Lega dispone di «vigilare affinché il comandante e la proprietà della nave Mare Jonio si attengano alle vigenti normative nazionali e internazionali in materia di coordinamento delle attività di soccorso in mare e di idoneità tecnica dei mezzi impiegati», si legge nel documento. «Apprendiamo che il Viminale ha dedicato, nella sua intensa attività di produzione di “direttive ad navem“, una nuova direttiva interamente dedicata alla nostra nave, Mare Jonio – fanno sapere da Mediterranea – che appare scritta come se il governo vivesse in un mondo parallelo, senza nessun accenno alla guerra in Libia».
Nelle considerazioni preliminari alle disposizioni, il ministro Salvini – che proprio ieri ha dato la notizia di essere indagato per sequestro di persona nel caso della nave Sea Watch 3, rimasta al largo della rada di Siracusa, lo scorso gennaio – illustra un «precedente intervento» durante il quale l’imbarcazione battente bandiera italiana non avrebbe «ottemperato alle istruzioni di coordinamento Sar delle autorità estere legittimamente titolate». Il riferimento è al salvataggio di 49 migranti compiuto dalla Mare Jonio lo scorso marzo, a 46 miglia dalla costa libica, e al successivo approdo al molo di Lampedusa. Vicenda per la quale il comandante Pietro Marrone e il capo missione Luca Casarini sono ancora indagati dalla procura di Agrigento con l’ipotesi di reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
«Nelle considerazioni introduttive della direttiva – sostengono dalla ong – si leggono una serie di slogan di propaganda, oltre che un elenco di bugie. Sappiamo, infatti, di avere sempre rispettato i diritti e il diritto, cosa che i governi europei, e il nostro in particolare, dovrebbero cominciare a fare in relazione a quanto avviene nel Mediterraneo. La direttiva – aggiungono – dice che la nostra presenza in mare sarebbe un incentivo per chi lascia la Libia e che rischiamo di favorire l’ingresso di pericolosi terroristi». A questo dall’associazione rispondono con l’auspicio che il governo, una volta sbarcate le persone soccorse nel porto più sicuro, «sia in grado di effettuare tutte le indagini necessarie a garantire la sicurezza pubblica».
Proprio lo scorso lunedì, nel dare l’annuncio della ripartenza dalla Mare Jonio, il capo missione rimasto a terra aveva dichiarato che «se nei prossimi giorni la nave dovesse effettuare un nuovo intervento di soccorso, faremo come l’ultima volta perché rispettiamo le convenzioni internazionali e la necessità di dare un porto sicuro ai salvati e la Libia non lo è». Sulla base di questa dichiarazione si fonda un’altra considerazione messa nero su bianco nelle quattro pagine del nuovo documento presentato al Viminale. «Da dichiarazioni pubbliche – scrive il ministro – si evince l’intenzione di condurre una nuova analoga attività da parte della Mare Jonio che, se attuata, integrerebbe una deliberata violazione delle normative internazionali e della legislazione interna, finalizza al preordinato trasferimento in Italia di migranti in condizioni di irregolarità». La direttiva, stando a quanto dichiarato da Salvini, nasce «dall’esigenza di prevenire attività illecite». Il compito di curarne l’esecuzione è affidato alla autorità militari e di polizia «a partire da ogni possibile forma di notificazione e intimazione agli interessati».
«La direttiva ci accusa di volere condurre nuovamente le stesse attività: lo confermiamo. Siamo di nuovo nel Mediterraneo per continuare nella nostra missione di monitoraggio e denuncia della violazione dei diritti umani – concludono da Mediterranea – senza sottrarci mai all’obbligo giuridico ed etico di salvare le vite in pericolo e portarle in salvo. Ci atterremo, come chiede la direttiva, alle vigenti norme nazionali e internazionali, cosa che implica l’impossibilità di fare alcun riferimento alla Libia».
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