La giovane trapanese morì a 17 anni lanciandosi da un palazzo, una settimana dopo la strage di via D'Amelio. Nella capitale viveva la sua nuova vita da testimone di giustizia, dopo aver affidato a Borsellino informazioni importanti sul clan di Partanna. Oggi l'associazione che porta il suo nome si appella alla sindaca Raggi
Rita Atria, petizione per cittadinanza onoraria di Roma «Lì è morta sola, ma ha scoperto mondo fuori da mafia»
Rita Atria cittadina onoraria di Roma. È la richiesta che l’Associazione Antimafie che porta il suo nome ha rivolto alla prima cittadina capitolina, Virgina Raggi. «Lo scorso 26 luglio, a 25 anni da quel volo di solitudine in viale Amelia, a Roma, è maturata l’idea che la storia di Rita Atria debba finalmente ricevere piena cittadinanza. E debba riceverla proprio a Roma, dove ha vissuto sotto protezione e dove è stata lasciata sola», afferma il presidio romano dell’associazione intitolata alla giovane testimone di giustizia siciliana che, con le sue denunce, contribuì a definire la mappa del fenomeno mafioso a Partanna (Trapani). Rita morì a 17 anni, nel 1992, una settimana dopo l’attentato di via D’Amelio in cui perse la vita Paolo Borsellino, il magistrato che aveva raccolto le due dichiarazioni. A supporto della proposta è stata lanciata una petizione online che al momento conta oltre 600 firme.
«La cittadinanza onoraria rappresenterebbe anche una presa di coscienza della solitudine di chi, oggi come allora, denuncia», spiega Nadia Furnari, fondatrice dell’Associazione. «La lentezza con la quale si sta svolgendo la raccolta firme – sottolinea – è la dimostrazione che Rita è stata dimenticata. Da tempo abbiamo questa sensazione. Fiction tenute chiuse in un cassetto, memoria pubblica omissiva, un’associazione troppo irriverente a portare il suo nome e la politica che l’ha screditata saldamente al potere». Memoria corta che trova sostanza anche nel ritardo nell’approvazione del testo di legge per i testimoni di giustizia, che, dopo l’approvazione alla Camera, da quattro anni è fermo in commissione Giustizia al Senato.
Al momento, non risulta alcuna risposta dalla giunta capitolina, da noi interpellata; pieno sostegno all’iniziativa è invece giunto già in viale Amelia, lo scorso 26 luglio, da Elena De Santis, l’assessora alle politiche culturali del Municipio VII, che conferma l’adesione del Municipio e aggiunge: «Proprio in questi giorni abbiamo scritto una nota alla giunta comunale in cui esprimiamo parere favorevole. Come amministrazione, non possiamo non sostenere tutte le testimonianze che vadano verso un concreto e personale impegno anche nel vissuto quotidiano. A nessuno è richiesto di essere un eroe, nemmeno Rita Atria immaginava di diventarlo, ma tutti abbiamo la possibilità ogni giorno di fare delle scelte, talvolta scomode, e di fare poi i conti con le responsabilità che comportano. Anche alla luce di pagine come quella di mafia capitale, è un esempio positivo che vogliamo trasmettere alle giovani generazioni. Una presenza viva al di là della morte, non è quindi una commemorazione ma una testimonianza di vita».
La capitale, città di rinascita e di morte per Rita Atria. È qui, infatti, che, con la cognata Piera Aiello, trovò riparo durante il programma di protezione a seguito delle sue denunce e, in preda allo sconforto, si lasciò cadere dal settimo piano di una palazzina del Tuscolano. «A Roma – afferma il presidio romano dell’Associazione – Rita, da un lato, ha scoperto un mondo al di fuori della mafia, “fatto di cose semplici ma belle, dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di questa o quella persona” e, dall’altro, dopo la morte di Borsellino, si è ritrovata completamente sola, senza punti di riferimento, con il timore che “lo stato mafioso” potesse vincere».
A ricordare la giovane, nel luogo della sua tragica fine, una targa e le iniziative portate avanti nel corso degli anni dal presidio locale dell’associazione, ma ancora, dopo 25 anni, troppe amnesie. «Se molti – continua -, grazie in particolare alla memoria attiva dell’associazione, hanno scoperto la storia di Rita, nel quartiere dove ha vissuto, nelle scuole, tramite gli scritti del suo diario e i libri, purtroppo sono ancora tanti, anzi troppi quelli che non la conoscono. Una rimozione collettiva che ha relegato ai margini la sua denuncia e la sua scelta ribelle. Il conferimento della cittadinanza sarebbe finalmente un primo segnale importante che si vuole invece veramente cambiare. Raccontare la storia di Rita, farla diventare un passaggio imprescindibile di una vera liberazione dalle mafie, per realizzare quel mondo onesto che proprio Rita sognava e di cui ci ha lasciato testimonianza».