Riaperto il caso dell’omicidio del cuoco modicano Peppe Lucifora. A marzo era stato assolto l’ex carabiniere

La Corte d’Assise d’Appello di Catania ha riaperto il processo per l’omicidio del cuoco modicano 57enne Peppe Lucifora. L’unico indagato, l’ex carabiniere Davide Corallo, è stato assolto a marzo dalla Corte d’Assise di Siracusa con formula piena «per non avere commesso il fatto» dopo avere trascorso due anni in carcere. Alla sentenza si erano appellate sia la procura di Ragusa, sia la parte civile con i familiari della vittima rappresentati dall’avvocato Ignazio Galfo

La Corte ha emesso l’ordinanza nel corso dell’udienza di oggi, rigettando l’eccezione della difesa dell’imputato sulla inammissibilità dell’Appello delle parti civili. L’ordinanza dispone che siano risentiti tutti i periti e i consulenti già ascoltati in primo grado, oltre al medico legale Giuseppe Iuvara che effettuò l’autopsia. Previsti anche 12 testi che non sono stati sentiti in primo grado. È stato nominato un nuovo perito d’ufficio, il maggiore Cesare Rapone dei Ris di Roma – che giurerà durante la prossima udienza già fissata per il 5 dicembre – per cercare nuove tracce biologiche nell’abitazione di Lucifora.

L’omicidio è avvenuto il 10 novembre del 2019 nella casa di Lucifora in largo XI febbraio nel quartiere Dente a Modica, nel Ragusano. Il corpo seminudo del cuoco era stato trovato dai vigili del fuoco, che avevano dovuto forzare la porta d’ingresso dell’abitazione, nella camera da letto che era chiusa a chiave. Picchiato strangolato fino a provocare un soffocamento meccanico. Stando ai risultati dell’autopsia sul cadavere, Lucifora avrebbe provato a difendersi, come dimostrerebbero i segni delle percosse sul volto e la frattura della mandibola con spostamento dalla sede originaria. A non lasciargli scampo, però, sarebbe stata la stretta delle mani intorno al collo.

Sin da subito si era fatta strada l’ipotesi di un delitto passionale e in cima alla lista dei sospettati c’era proprio Corallo che, nel corso del processo, ha ammesso di avere avuto delle frequentazioni con la vittima. L’ex militare però si è sempre proclamato innocente nonostante un elemento chiave della procura che aveva portato a una svolta e all’indagine a suo carico: nel lavandino dell’abitazione della vittima i Ris avevano trovato una traccia di Dna di Corallo. Gli esami però non sono arrivati a definire se si tratti di sangue, saliva, sebo o altro materiale. Inoltre, è stato accertato che non è possibile determinare l’arco temporale in cui quella traccia è stata lasciata.


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