La commissione regionale antimafia ha presentato ieri una relazione, la prima da quando il presidente è Antonello Cracolici, a conclusione di un lavoro di mappatura delle nove province dell’Isola. Una trentina di pagine in cui si riassume quanto emerso dall’ascolto di poco più di trecento amministratori locali. «Ci saremmo aspettati una capacità di analisi sui motivi per cui il fenomeno mafioso sia ancora così articolato e florido – è il commento di Nicola Grassi, il presidente dell’Asaec (associazione antiestorsione catanese). Invece, la relazione si limita a raccogliere dati sul fenomeno del racket, del commercio di stupefacenti e sulla mafia in agricoltura».
«Ma ciò che ci ha particolarmente sorpreso – continuano dall’associazione che da oltre trent’anni porta avanti le attività di sensibilizzazione sul tema nel territorio etneo – è stata la ristretta audizione limitata a sole tre associazioni antiracket siciliane e, tra queste, nessuna in provincia di Catania». Una lacuna importante visto che nella stessa relazione della commissione viene ribadito che le mafie puntano ancora molto sul pizzo e sulle estorsioni. Un business che oggi risponderebbe al motto “pagare meno, pagare tutti“. «Per una più seria, approfondita e complessiva analisi dei fenomeni del racket e dell’usura – si chiedono dall’Asaec – non sarebbe stato meglio audire quante più associazioni possibili?».
Una domanda che suona quasi retorica. E dalla quale, però, ne scaturiscono altre che retoriche non sono: «Perché non si è aperta la platea di ascolto alle associazioni che vivono i territori? Il compito della commissione regionale antimafia – sottolineano dall’Asaec – non dovrebbe essere soltanto quello di una semplicistica raccolta di dati sui vari fenomeni». A questo, del resto, ci pensano già le dettagliate relazioni semestrali della Direzione investigativa antimafia. «La commissione, invece – aggiungono dall’associazione antiracket catanese – dovrebbe puntare sulla capacità di inchiesta, di analisi del problema e delle possibili soluzioni. Ci chiediamo – concludono – se in futuro questa commissione vorrà avere la forza e il coraggio di indagare i motivi di un così forte radicamento del fenomeno mafioso in Sicilia».
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