Registri e lavagne digitali, l’incubo dei prof Alla scuola Italo Calvino un esempio virtuoso

Una mattina, mentre percorreva i corridoi della sua scuola, la Italo Calvino di Catania, il preside Salvo Impellizzeri ha trovato fuori da una classe una vecchia lavagna, di quelle nere, fatte di ardesia, su cui scrivere con i gessetti bianchi. «Aveva ragione – ha spiegato l’insegnante di fronte alla richiesta di spiegazioni del suo superiore – questa non serve più, basta la Lim». La soddisfazione del dirigente era abbinata alla sorpresa, tanto più che la docente era stata nei mesi precedenti tra le più scettiche nell’accettare il nuovo strumento. La Lim, la lavagna interattiva multimediale, fa parte del kit che sta trasformando le aule in classi 2.0. A questa si dovrebbero accompagnare il registro elettronico, i tablet per gli studenti, il tutto supportato da un’efficace linea Adsl. L’istituto Italo Calvino ha iniziato prima degli altri questo percorso che oggi coinvolge tutte le scuole – primarie, medie e superiori – dove da quest’anno l’uso del registro in versione digitale è diventato obbligatorio. «Noi siamo partiti cinque anni fa con alcune classi – spiega il preside Impellizzeri – una fase sperimentale di cui adesso vediamo i risultati».

Il processo di digitalizzazione della scuola che ha diversi plessi tra Barriera e Canalicchio è stato completato quest’anno grazie a un finanziamento da 80mila euro del ministero dell’Istruzione: 60 classi per un totale di 1.200 alunni sono state dotate di supporti digitali. «Ma per far funzionare tutto, la scuola si fa carico di pagare la linea Adsl, visto che il Comune non ce la fa – sottolinea il preside – Senza connessione veloce gli sforzi fatti verrebbero mortificati, il Comune non lo capisce e ritiene utile l’Adsl solo in segreteria». Un investimento importante, a cui si è aggiunto, nel mese di settembre, la necessaria formazione degli insegnanti. Per questo, il dirigente si è rivolto all’associazione Palestra per la mente onlus che da un anno porta avanti il progetto Coderdojo, rivolto all’alfabetizzazione digitale dei bambini.

A frequentare le lezioni – tenute gratuitamente da un team multidisciplinare di esperti di tecnologia e psicologia: Carlo Puglisi, Francesco D’Agata e Maria Rosaria Conte – sono stati 120 insegnanti sul totale del corpo docente di 150 unità. Un ciclo di sette incontri, tre per le elementari e quattro per le medie, mediamente quattro ore per professore. «Gli abbiamo sottoposto prima un test per testare le conoscenze di base – spiega Fabrizio Ferreri, membro dell’associazione – i risultati hanno dimostrato che le generazioni dai 45 anni in su sono impreparate. Però in loro c’è una netta percezione di non saperne abbastanza e allo stesso tempo una grande voglia di apprendere e disponibilità. Abbiamo infatti registrato pochissime assenze alle lezioni».

Il corso ha puntato su due temi. Prima il funzionamento della lavagna Lim, la capacità di usarla con i materiali giusti e in maniera partecipativa. In secondo luogo come far interagire con il nuovo strumento i bambini con disturbi specifici di apprendimento per migliorare la didattica. «Ad esempio – spiega Ferreri – chi ha problema di lettura, con la Lim può ascoltare una voce che legge il testo. Allo stesso modo si può ovviare alle difficoltà di scrittura». La formazione dei professori continuerà nei prossimi mesi in aula. Sarà quello il banco di prova più importante e i tutor daranno un supporto in classe per verificare che la teoria venga messa in pratica nel migliore dei modi.

«In una società con una base tecnologica così forte, è importante che i ragazzi trovino dentro la scuola gli stessi strumenti che usano nella vita di tutti i giorni, perché finiranno per sfruttarli meglio anche all’esterno», sottolinea Saverio Rizza, presidente dell’associazione Palestra per la mente onlus, che mette in guardia anche dai rischi. «La tecnologia deve comunque restare un supporto, il docente non può delegare a nessun strumento l’elemento pedagogico».

All’Italo Calvino c’è già chi usa gli strumenti digitali a lezione da cinque anni. E i risultati, a detta di preside e insegnanti, si vedono. La fase sperimentale ha coinvolto due classi di terza elementare che adesso sono arrivate in seconda media. «Attraverso i test Invalsi e il nostro monitoraggio interno ci siamo resi conto che questi ragazzi sono più avanti dei loro coetanei – racconta il preside – sul piano cognitivo hanno migliorato la capacità di attenzione e concentrazione, soprattutto tra gli alunni più vivaci, e di conseguenza anche la produzione». Passi avanti che rafforzano la convinzione del dirigente di essere sulla strada giusta. «So che molti criticano questo tipo di investimento perché le scuole italiane hanno mancanze più importanti, ma anche io combatto ogni giorno per rendere dignitosa e funzionale la mia. La verità – conclude Impellizzeri – è che c’è una forte resistenza al cambiamento, anche perché l’impiego di queste risorse per la digitalizzazione richiede una fatica enorme nella preparazione del progetto, nella formazione dei soggetti coinvolti e infine nell’utilizzo degli nuovi strumenti».


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