Regione, al voto nello sfascio generale

Nessuno ha il coraggio di dirlo, ma la realtà di questa strana campagna elettorale in vista delle prossime elezioni regionali è che nessuno più si fida di nessuno. Dopo l’esperienza – peraltro ancora in corso – di Raffaele Lombardo, tra le forze politiche siciliane tutto è diventato difficile. In quattro anni di Governo, Lombardo è riuscito a mettere a nudo tutti i limiti di una riforma – l’introduzione dell’elezione diretta del presidente della Regione – che ha affidato al capo della giunta un potere pieno e privo di controlli. I guasti che questi quattro anni hanno provocato, sotto il profilo politico e istituzionale, sono sotto gli occhi di tutti.

Il quadro politico siciliano appare frantumato. Partiti che dovrebbero essere agli antipodi per storia e tradizioni, si ritrovano insieme. I vincitori delle elezioni del 2008 sono stati all’opposizione. Chi invece ha perso le elezioni quattro anni fa ha governato. Le divisioni, negli schieramenti politici, sono all’ordine del giorno. La personalizzazione della politica e delle scelte politiche ha preso il posto delle mediazioni tra le stesse forze politiche.

I partiti contano sempre meno. E, all’interno dei partiti, gli iscritti, i militanti e i simpatizzanti contano ancora di meno. Un tempo sui giornali si leggeva dei congressi comunali, provinciali e regionali di questo o quel partito. Negli ultimi quattro anni i congressi sono stati sostituiti dalle direzioni regionali o provinciali dove si prendono decisioni che, sempre più spesso, nulla hanno a che vedere con la volontà della base dei partiti. E se in qualche partito la base chiede un referendum, questo viene regolarmente negato. La politica – questa politica – funziona ormai solo su base verticistica, senza alcun collegamento con gli interessi reali della gente.

La crisi politica e istituzionale ha prodotto effetti devastanti sull’amministrazione regionale, già messa a dura prova da una legislazione sbagliata (valga per tutti la proliferazione incontrollata della dirigenza introdotta con la legge regionale numero 10 del 2000). La Regione siciliana non ha mai brillato per funzionalità e capacità amministrativa. Ma risultati così disastrosi non si erano mai visti.

La gestione dell’acqua è penosa. Dovrebbe essere pubblica, come chiedono i Sindaci e come ha sancito un referendum popolare oltre un anno fa, e invece continua ad essere nelle salde mani dei privati.

La gestione dei rifiuti è finite nelle ‘grinfie’ di comitati di affari che sono riusciti perfino a farsi confezionare una legge regionale e un Piano dei rifiuti ad hoc. La recente legge regionale, parzialmente impugnata dal commissario dello Stato, prova a scaricare sui cittadini i debiti – oltre 1,3 miliardi di euro – accumulati dalla dissennata gestione degli Ato rifiuti. Un incredibile Piano rifiuti, ‘partorito’ dopo quattro anni di ‘vuoto pneomatico’ dal Governo Lombardo – è stato approvato dal Governo Monti. Si prevede di bruciare i rifiuti nelle cementerie siciliane. Cosa, questa, che scaricherà nell’aria metalli pesanti, benzene e diossina, tra l’indifferenza di una classe politica che si ‘indegna’ per gli effetti tremendi provocati dall’incendio di Bellolampo, ma finge di non sapere che la stessa cosa avverrà – anche se in modo più contenuto, ma non per questo meno pericoloso – quando le cementerie dell’Isola cominceranno a bruciare i rifiuti.

Acqua e rifiuti stanno, da un lato, facendo arricchire un gruppo di privati (in molti casi collegati ai politici), mentre, dall’altro lato, stanno portando al dissesto finanziario la maggior parte dei Comuni dell’Isola. I cittadini siciliani non hanno ancora contezza di quello che sta succedendo e di quello che succederà non tra dieci anni, ma tra due o tre anni al massimo. Quando verranno chiamati, con nuove tasse e imposte comunali, a risanare le ‘casse’ dei Comuni svuotate dagli ‘amici’ degli attuali politici che operano nel campo del rifiuti e nella gestione idrica.

Questa vicenda è destinata a diventare dirompente. Anche perché, in alcune città, la truffa è già visibile. A Palermo i cittadini pagano una tassa dei rifiuti che è di gran lunga maggiore di quella che pagano i milanesi, per avere in cambio un servizio pessimo, tra immondizia per le strade e, adesso, anche i fumi della discarica di Bellolampo in fiamme.

Nell’Agrigentino, invece, l’acqua che era pubblica è stata privatizzata, mentre daii rubinetti, in molti casi, scorre acqua sporca.

Palermo e l’Agrigentino sono solo due casi che si moltiplicheranno nei prossimi mesi.  

La formazione professionale è allo sbando, grazie anche a una legge truffaldina che ha consentito alle società di sostituirsi agli Enti formativi che operavano per conto della Regione. Ci sarebbe voluta un’altra legge per abrogare la legge regionale numero 24 del 1976 e sancire la totale privatizzazione del settore. Invece la legge è stata mantenuta, ma svuotata da una decretazione piuttosto avventurosa che sta consentendo, di fatto, a soggetti privati di intercettare fondi pubblici non più finalizzati a una formazione professionale controllata e verificata dalla pubblica amministrazione.

In una totale confusione di leggi e di ruoli, con provvedimenti amministrativi che aggirano – quando non sostituiscono direttamente – previsioni di leggi, una parte cospicua dei fondi europei destinati alla Sicilia è stata ‘ascaristicamente’ dirottata a Roma, ora per essere gestita dal Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica, ora per essere fagocitata dal Ministero del Lavoro. Soldi che, in ogni caso, non verranno più spesi in Sicilia.

Il risultato è che oltre 8 mila addetti sono rimasti senza lavoro (con una Cassa integrazione che in molti casi non è ancora stata corrisposta). Il tutto mentre i pochi Enti formativi storici della Sicilia avviano i primi licenziamenti e mentre le società – controllate per l’80 per cento da partiti e sindacati – attendono di godersi i fondi europei rimasti, chi per organizzare qualche corso, chi per sistemare le pendenze delle proprie aziende che, sempre più spesso, nulla hanno a che vedere con la formazione professionale.

Insomma: imbrogli, su imbrogli su imbrogli. Dove, con molta probabilità, nemmeno il più bravo dei magistrati aduso ai fatti della pubblica amministrazione riuscirebbe a raccapezzarsi.

Quello che fino a qualche anno fa era uno dei punti di forza della Regione – la tutela dell’ambiente – ormai è solo un ricordo. La pressione del cemento affaristico e mafioso sulle coste si fa ogn giorno più forte. Gli edifici costruiti entro i 150 metri dalla battigia non si contano più. Si aspetta di mettere la Regione davanti al fatto compiuto: un giorno l’Ars approverà una legge che sanerà tutto il cemento abusivo che da tempo invade le coste. Abitazioni e, in generale, edifici che oggi non valgono nulla acquisteranno un valore enorme. La mafia ringrazierà.

Di abbatterli, nel nome della legge, non se ne parla. A Marsala la Giustizia stava per provarci. Ma non abbiamo avuto ulteriori notizie.

Del Pai – Piano di assetto idrogeologico – meglio non parlarne. C’è ma non si vede. Lo si è visto nel Messinese dove per la seconda volta in due anni le piogge torrenziali hanno seminato morte e disperazione. Tutto questo è avvenuto ed avviene senza che gli uffici preposti avvertano l’esigenza di spiegare alla politica che mezza Sicilia è a rischio idrogeologico e che non si può ignorare la prevenzione sperando che il buon Dio non mandi le piogge torrenziali.

La lista dei guasti amministrativi è lungissima, dalla crisi dell’agricoltura alle speculazioni sulle energie alternative, dalla crisi dell’industria a una gestione del turismo che, lungi dall’attirare presenze, produce solo personaggi che gestiscono la promozione per ‘promuovere’ gli amici dei soliti politici (lo scandalo dei ‘Grandi eventi’ ne è una matematica dimostrazione).

Quindi le speculazioni temerarie sulle isole siciliane (peraltro ‘pilotate’ in piena estate, mettendo a repentaglio la stagione turistica di questi luoghi), il tentativo maldestro di regalare per 50 anni la gestione delle coste siciliane a un gruppo di privati (operazione che l’ ‘autonomista’ Lombardo avrebbe voluto realizzare, bloccato da un ex assessore poi rimosso dallo stesso presidente della Regione), le operazioni di prevenzione degli incendi non effettuate (con il risultato degli incendi di questi giorni che hanno funestato mezza Sicilia, con morti, feriti e danni ingientissimi al territorio) e via continuando con lo sfascio della sanità pubblica, con l’artigianato in ginocchio, con la disoccupazione alle stelle e – tanto per gradire – con i fondi europei non spesi.

In tutto questo il bilancio della Regione è un ‘colabrodo’. E se non fosse intervenuto il commissario dello Stato avremmo assistito a un Governo che, nel nome di un’Autonomia sempre più calpestata, aveva già contratto un mutuo di oltre 500 milioni di euro da utilizzare in spesa corrente. Una follia.

Sarebbe un errore, però, pensare che le ‘casse’ della Regione sono state ‘svuotate’ solo da una gestione amministrativa scadente. Se l’attuale politica ha impoverito la Sicilia, questo è avvenuto sia per scelte e gestioni amministrative sbagliate, sia perché una parte delle risorse è finita chissà dove (provate a indovinare…).

Abbiamo già citato il caso dei fondi della formazione professionale. Ma lo ‘svuotamento’ è stato totale. Segno che allo ‘svuotamento’ – almeno in parte – è corrisposto un ‘riempimento’.

Tutti questi effetti li vedremo in campagna elettorale. Dove le promesse di posti di lavoro non passeranno più, se non altro perché i soldi pubblici sono finiti. Saranno in pochi a credere nei posti di lavoro. A passare, in questa campagna elettorale, saranno altre ‘cose’. Più dirette. 

Ma le risorse, si sa, non sono infinite. Ciò significa che quella che ci accingiamo a vivere sarà anche una campagna elettorale più libera. Senza la possibilità si promettere nuove ‘imbarcate’ di precari (peer inciso, i 22 mila precari degli enti locali, a partire dal prossimo anno, rischiano di restare fuori: altro che nuovi precari!), la politica dovrà misurarsi con un voto che – più per necessità che per virtù – sarà, lo ripetiamo, più libero.

Bisognerà capire chi sono i candidati a governare la Sicilia. E chi sta dietro di loro. Ma di questo parleremo domani.

 


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Nessuno ha il coraggio di dirlo, ma la realtà di questa strana campagna elettorale in vista delle prossime elezioni regionali è che nessuno più si fida di nessuno. Dopo l’esperienza - peraltro ancora in corso - di raffaele lombardo, tra le forze politiche siciliane tutto è diventato difficile. In quattro anni di governo, lombardo è riuscito a mettere a nudo tutti i limiti di una riforma - l’introduzione dell’elezione diretta del presidente della regione - che ha affidato al capo della giunta un potere pieno e privo di controlli. I guasti che questi quattro anni hanno provocato, sotto il profilo politico e istituzionale, sono sotto gli occhi di tutti.

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