Quella laurea negata è un atto di censura

Povera patria! Perché non c’è dubbio che Catania, per Franco Battiato, sia “patria”, dimora esistenziale, segno di appartenenza, culla di suggestioni mediterranee; e che senza quel legame non esisterebbero “Stranizza d’amuri” né “Mal d’Africa” né (per tacere del suo film, un omaggio alla nostra comune memoria) il resto della sua produzione, anche quando parla della prospettiva Nevskij evocando pitali ricolmi e vecchie col rosario, o dilata le estatiche quieti etnee nell'”oceano di silenzio” della meditazione sufi.

Patria, dunque, ma “povera”: avvelenata dalla bassa politica, come quando qualche legittimo ma arrogante e vendicativo vincitore decide di punire le dichiarazioni avverse del musicista, bloccando per ragioni esclusivamente politiche una laurea conferita per meriti artistici; e come quando un malinteso orgoglio di campanile Ë causa di pubblico linciaggio, solo perché Battiato aveva detto non di odiare la sua città (tuttíaltro!) ma (e ne aveva, ne ha il diritto) di volerla abbandonare ove fosse, a suo parere, mal governata.

Più lungimiranti dello studente che ha gonfiato i muscoli, e del timidissimo senato accademico che lí ha assecondato, Stefania Prestigiacomo (cui l’appartenenza politica non fa velo al disgusto – i linciaggi a Battiato e alla Fallaci) e lo stesso sindaco Scapagnini, che sorvola con quell’eleganza che ci si aspetta, per l’appunto, dal vincitore.

Grave, lo stop a quella laurea. Perché è un atto di censura delle opinioni. E perché presenta ingiustamente Catania all’immagine nazionale come un sinedrio d’inquisitori e una sentina di rancori. I rancori ci sono, inutile negarlo: di ognuno di noi per ogni altro che osi, rischi, si scommetta. Ma Catania é altro. E dimostrerà maggior orgoglio dissociandosi da quella censura che arroccandosi in difesa del campanile abbandonato.

Povera patria, dunque: nell’ultimo concerto, tra un bis e l’altro, Franco – col pudore che gli è solito – spezzò una lancia a favore d’uno spettatore di prima fila: “Il mio amico Enzo Bianco”. Aveva appena cantato “Povera patria” tra applausi consapevolmente scroscianti, e confessava di ritenerla troppo “politica” per i suoi gusti, che cantarla gli fa venire
líorticarie, che occorrerebbe tentare di volare più alto. Ma aggiungeva di non potere sottrarsi a quell’omaggio amicale
in un momento decisivo per la nostra, per la sua città.

Un’opinione. Ma, per qualcuno, una colpa, un affronto da vendicare.
Povera patria…

ANTONIO DI GRADO


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