I pub della piazza di Borgo Vecchio costretti a usare i biliardini di Cosa nostra. «Imposti nel fine settimane»

Nella storica piazza di Borgo Vecchio, a Palermo, non si giocava solo per divertimento: anche i biliardini, nei weekend, sarebbero finiti sotto il controllo di Cosa nostra e nello specifico della famiglia locale, inserita all’interno del mandamento di Porta Nuova. Semplici tavoli da gioco con aste, palline e giocatori in plastica, simboli del divertimento popolare, che secondo gli investigatori della procura di Palermo sarebbero stati anche strumenti di potere con cui la mafia ha ribadito la sua presenza sul territorio. L’aneddoto è contenuto nelle carte dell’ultima inchiesta che ha azzerato il mandamento. Il blitz, scattato nelle scorse settimane, è un proseguimento della retata denominata Grande Inverno, con 183 arresti avvenuti a febbraio scorso.

A tornare a essere fondamentali sono state le rivelazione di Filippo Di Marco, diventato collaboratore di giustizia dopo appena otto mesi di militanza mafiosa come soldato proprio della famiglia di Cosa nostra di Borgo Vecchio. Secondo gli inquirenti, non ci sarebbero dubbi sulla genuinità del percorso da collaboratore, essendosi anche autoaccusato della propria partecipazione nel settore degli stupefacenti e svelando particolari investigativi ancora inediti per gli inquirenti. Figure chiave nel sistema dell’imposizione dei biliardini sarebbero stati Pietro Pozzi e Leonardo Marino. Nomi di spicco nel panorama mafioso, secondo le accuse, in particolare per quanto riguarda gli affari legati al Lotto nero, riffe con premi in denaro e le scommesse online, occupandosi della fornitura dei portali nei quali giocare sottobanco. «L’insegna è una, ma il pannello (sito online illegale, ndr) di contrabbando è diverso e imposto», racconta Di Marco ai magistrati.

«Voglio parlare anche dell’estorsione relativa ai biliardini – si legge in un verbale contenuto nell’ordinanza di custodia cautelare – Giovedì, venerdì, sabato e domenica, Leo Marino fa mettere i biliardini in piazza. Sono suoi e gli altri pub devono ritirare i loro». I tavoli da gioco, stando anche ad alcune intercettazioni, sarebbero stati dati in gestione anche a terzi, come nel caso di Cristian Cinà. «Leo dice diamogli i biliardini, quelli che abbiamo noi, gli ho dato le chiavi. Ma che deve fare? – si legge in un dialogo – Leo per toglierselo di dosso, che forse gli da la simanata…». Un affidamento non esente da momenti di tensione. Tanto che, in un altro dialogo, l’indagato Pietro Pozzi si lamenta di Cinà, manifestando la volontà di togliergli i biliardini. «Quando voglio ci vado a toglierli – diceva – però, non lo faccio subito».

Pozzi spiega anche come sarebbero entrati in possesso dei tavoli da gioco e, nello specifico, indica la provenienza illecita. «Li abbiamo comprati? Li abbiamo rapinati», specificava. «Nei fatti così riscontrati – si legge nell’ordinanza – si ravvisano i presupposti del reato di estorsione aggravata dall’avere agevolato Cosa nostra, poiché emerso che gli indagati imponevano ai commercianti, avvalendosi della minaccia derivante dalla riconosciuta autorità mafiosa, di non istallare i propri giochi ma quelli dei locali esponenti mafiosi ai quali erano destinati i proventi realizzati nei giorni di fine settimana».


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