Il protocollo Cuffaro: dai bandi per «gli amici» alle talpe. C’è pure un uomo dei servizi segreti

Una «prassi consolidata» con Cuffaro e il suo entourage che avrebbero ricevuto, prima della pubblicazione ufficiale, i bandi indetti dall’assessorato regionale alla Famiglia e delle Politiche sociali. Quella che viene tratteggiata dagli inquirenti è la storia di una presunta linea preferenziale che avrebbe avvantaggiato Cuffaro e il suo fidatissimo Vito Raso, consentendo loro di fare circolare i bandi in anteprima esclusiva ai loro «amici». Nelle carte dell’inchiesta nei confronti dell’ex presidente della Regione, già condannato in via definitiva per favoreggiamento a Cosa nostra, in questo contesto, spunta anche il nome di Maria Letizia Di Liberti. La dirigente del dipartimento Famiglia e Politiche sociali è indagata, come emerge dagli atti, per rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio.

Chi è Maria Letizia Di Liberti

Di Liberti è un volto storico degli uffici della Regione. La burocrate (nella foto interna) è stata inserita alla guida del dipartimento alla Famiglia nei primi mesi del 2022 per volontà dell’allora presidente Nello Musumeci. Un ritorno al palazzo dopo che era stato lo stesso governatore e attuale ministro a proporre in giunta la revoca del suo incarico. Era il periodo della pandemia e Di Liberti, da responsabile del dipartimento regionale per le Attività sanitarie, era finita indagata e sottoposta agli arresti domiciliari nell’ambito dell’inchiesta sui falsi dati Covid della procura di Trapani. Fece scalpore, all’epoca, l’intercettazione in cui la burocrate, dialogando con l’allora assessore alla Salute Ruggero Razza, parlò di «morti da spalmare».

Il protocollo operativo di Cuffaro per favorire «tutti gli amici nostri» con i bandi

Cuffaro, secondo i magistrati della procura di Palermo, avrebbe applicato un suo personale «protocollo operativo» con l’obiettivo di favorire «tutti i nostri amici» attraverso i bandi regionali. Un aneddoto che emerge quando Raso gli domanda se il bando per gli autistici, a quanto pare ottenuto in anteprima da Di Liberti, doveva essere «dato» a qualcuno in particolare. «I bandi, prima di essere pubblicati – spiegava l’ex presidente – li dobbiamo mandare a tutti i nostri amici». Un protocollo al quale, secondo i pm, il fidato Raso si sarebbe attenuto scrupolosamente. Il 13 febbraio del 2024, Di Liberti gli prospettava l’imminente pubblicazione di un nuovo bando. «Secondo me a lui bisogna dirglielo se vuole che lo mandiamo a qualche altro», diceva. A questo punto, Raso replicava dando le dovute rassicurazioni: «Tranquilla, non ti preoccupare. Tu giramela, che poi ci penso io».

A giugno del 2024, il protocollo degli amici tornava a essere applicato. In questo caso, Di Liberti informava Raso che stava per inoltrargli un bando per la formazione dei detenuti. «Ma tu dammi sempre tre giorni di tempo – spiegava alla burocrate – che io glielo giro a tutti…». Un modus operandi che, secondo gli inquirenti, delineerebbe «una chiara progressione criminosa realizzata mediante la perpetrazione di rivelazioni di segreto d’ufficio che connota di ulteriore disvalore penale il programma del sodalizio».

Il colonnello dei carabinieri e l’incontro con Cuffaro

Un colonnello dei carabinieri ha chiesto e ottenuto un incontro a porte chiuse con Cuffaro. Una richiesta che l’ex governatore riceve il 14 marzo del 2024 attraverso un avvocato a lui vicino. Ed è lo stesso legale a spiegare che il colonnello avrebbe avanzato l’idea di un faccia a faccia riservato all’interno dello studio dell’avvocato. L’indomani, secondo la ricostruzione dei pm, Cuffaro incontra effettivamente il militare, identificato dalla procura in Stefano Palminteri, in servizio al comando legione carabinieri Sicilia e adesso finito indagato per rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio. Per Cuffaro è una sorta di dejà vù che riavvolge il nastro all’inchiesta talpe alla Direzione distrettuale antimafia e alle rivelazioni che permisero al boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro di scoprire una microspia nel salotto di casa.

Terminato l’incontro con il colonnello, trascorsi quattro giorni, Cuffaro si ritrova a commentarne il contenuto con il deputato regionale e capogruppo della Dc all’Ars Carmelo Pace. «Sì sì tutto a posto… a te ha detto di stare attento a me… a me ha detto di stare attento a te». A questo punto, Pace – nei cui confronti, così come per Cuffaro, la procura ha chiesto l’arresto con la misura dei domiciliari – sottolinea come i nomi menzionati fossero altri: «Però, dicendo che non ci entriamo né io né tu». Nonostante questo, Cuffaro avrebbe avuto delle riserve sulla credibilità del militare aggiungendo pure che, durante l’incontro riservato, avrebbe cercato di barattare le notizie sulle indagini con la possibilità «di mettere sua moglie in questa cosa del microcredito».

L’uomo dei servizi segreti e l’utilizzo del telefono

Cuffaro, però, non avrebbe parlato di indagini soltanto con il colonnello. Nelle carte dell’inchiesta si fa riferimento anche a un uomo inserito nei servizi segreti, già noto alle cronache giudiziarie per altre vicende. Sarebbe stato quest’ultimo ad ammonire Cuffaro, durante un incontro, di stare attento sull’utilizzo del telefono: «Dice “Ma tu parli assai al telefono” – racconta l’ex governatore a Pace -. “Come parlo assai al telefono? Perché che ho fatto?“». A questo punto, l’uomo dei servizi avrebbe specificato a Cuffaro che l’ex governatore, il giorno prima, avrebbe parlato di scuole da chiudere o tenere aperte, così da rafforzare la propria tesi: «”Capisci bene che ti hanno ascoltato“», sono le parole che gli avrebbe detto. Il 19 marzo, Cuffaro si reca a Roma e quel giorno, secondo la ricostruzione degli inquirenti, incontra l’uomo che lo aveva messo in guardia.


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