«No no no, io non intendo rispondere». Non ci ha pensato un secondo Sonia Sangiorgi ad avvalersi della facoltà di non rispondere nel corso dell’udienza di oggi del processo in cui il suo attuale compagno Rosario Palermo è imputato per l’omicidio della 22enne disabile di Acireale Agata Scuto. Anche lei, che dal presidente della corte […]
Processo omicidio Agata Scuto, la compagna dell’imputato non risponde in aula
«No no no, io non intendo rispondere». Non ci ha pensato un secondo Sonia Sangiorgi ad avvalersi della facoltà di non rispondere nel corso dell’udienza di oggi del processo in cui il suo attuale compagno Rosario Palermo è imputato per l’omicidio della 22enne disabile di Acireale Agata Scuto. Anche lei, che dal presidente della corte d’Assise viene definita «ex convivente» solo perché l’imputato è detenuto in carcere, è imputata in un procedimento collegato per favoreggiamento. Per l’accusa, la donna con cui Palermo inizia una relazione proprio dopo quella con la madre della vittima, lo avrebbe aiutato a depistare le indagini insieme a una sua ex compagna – Rita da cui ha avuto anche due figli in un rapporto che risale a quasi 20 anni fa – e a un amico. Quando Palermo viene scortato in aula dai carabinieri per assistere all’udienza, la donna è ancora davanti alla porta. Non uno sguardo, non un cenno, come fossero perfetti estranei. Solo dopo, qualche espressione di nervosismo. Sangiorgi, nella veste di testimone, oggi ha deciso di non rispondere nell’aula in cui, oltre alle telecamere della trasmissione Un giorno in pretura, c’era anche una scolaresca di un istituto superiore di Acireale. «I ragazzi stanno partecipando a un progetto Pon sul procedimento penale e questa mattina – racconta a MeridioNews una docente che li accompagna – siamo venuti a toccare con mano come funziona e cosa accade in un’aula di tribunale».
Sotto lo sguardo attento dei ragazzi e della corte, a testimoniare sono stati un luogotenente e tre marescialli. Il primo è colui che, nel corso delle indagini sulla vicenda della ragazza scomparsa la mattina del 4 giugno del 2012, si è occupato delle attività di georadar nel terreno di pertinenza dell’abitazione di famiglia. «Siamo andati lì per cercare un cadavere – spiega il luogotenente – E abbiamo potuto farlo solo dopo avere liberato l’area da una importante quantità di spazzatura di ogni tipo». Nei punti in cui lo strumento ha rilevato delle anomalie, si è proceduto anche a scavare. «Abbiamo trovato delle ossa – aggiunge – alcune erano chiaramente di animali, altre molto piccole sono state invece sequestrate e si è proceduto a ulteriori analisi». Per verificare, come poi è stato, che non si trattasse di ossa umane.
Altre analisi sono state svolte dai marescialli della Sezione investigazioni scientifiche (Sis) di Catania. In particolare, i due hanno riferito in aula dei rilievi tecnici nel sottotetto della casa della famiglia Scuto, dove anche la vittima viveva prima di scomparire. «Abbiamo effettuato i rilievi, anche quelli con il luminol – ricostruiscono – in uno scantinato che era in una situazione disastrata tra muffa, blatte, escrementi di topo e materiale di risulta». In una condizione un poco migliore, ma comunque in un luogo «invaso dalle blatte», hanno eseguito lo stesso tipo di verifiche anche nell’abitazione dell’imputato sempre nel 2020. Altri rilievi sono stati fatti, invece, due anni più tardi, in un terreno e in un rudere di contrada Bufaletti a Pachino, nel Siracusano. Un luogo in cui l’imputato sarebbe andato a raccogliere lumache e verdure spontanee e che avrebbe menzionato in un monologo intercettato in auto mentre finge di essere davanti a un giudice prospettandosi due diversi risultati: la condanna all’ergastolo oppure l’assoluzione. «In nessuna delle tre attività – precisano i marescialli – sono stati trovati elementi utili alle indagini».
Sentito in aula poi anche il maresciallo che si è occupato delle indagini che hanno riguardato l’analisi di un tondino di ferro. L’oggetto sporco di sangue con cui Palermo si sarebbe procurato una vistosa ferita a una gamba (di cui ha ancora una cicatrice) proprio il giorno della scomparsa di Agata – per cui l’imputato avrebbe anche tentato di costruirsi un falso alibi tramite alcuni conoscenti – e che avrebbe provato a nascondere sull’Etna. Per l’accusa, l’uomo – difeso dall’avvocato Marco Tringali – avrebbe ucciso la 22enne perché sarebbe stata incinta di lui. Una gravidanza di cui non esistono prove ma che è stata desunta dalla madre a cui la giovane, poco prima di scomparire, avrebbe confidato che da due mesi non aveva più il ciclo mestruale e da una frase scritta sul suo diario personale: “Mamma cornuta“. La prossima udienza è già stata fissata per la metà di aprile, quando sarà ascoltato come testimone l’amico imputato nel procedimento collegato (per favoreggiamento); si dovrà invece attendere il mese di maggio per l’esame di Palermo.