A un anno (esattamente domani) dall’infanticidio di Elena Del Pozzo a Mascalucia (nel Catanese), oggi è iniziato il processo alla madre Martina Patti. La 24enne che, dopo avere inscenato il rapimento da parte di un commando armato, aveva confessato di avere ucciso la figlia con un coltello nel terreno incolto dove poi lei stessa aveva fatto ritrovare il cadavere all’interno di sacchi di plastica. La procura le contesta i reati di omicidio premeditato aggravato, occultamento di cadavere e simulazione di reato per avere inscenato il finto rapimento della figlia di quattro anni. L’imputata era presente, ed è rimasta per tutto il tempo seduta dentro la cella dell’aula Serafino Famà della corte d’Assise al piano terra del tribunale di Catania.
Quando arriva si guarda intorno ma invano, perché tra le sedie del pubblico non c’è nessun volto a lei familiare (esclusi quelli dei suoi avvocati Gabriele Celesti e Tommaso Tamburino che più volte si avvicinano alle sbarre per parlarle): non ci sono i suoi genitori – forse perché ci saranno anche loro tra gli oltre trenta testimoni del processo – non c’è Alessandro Del Pozzo, il padre della bambina e suo ex compagno, e non ci sono nemmeno i suoi familiari (la sorella e i genitori) che si sono costituiti parte civile. Sono stati loro, insieme ai volontari dell’associazione locale L’angelo Federico, a creare un’associazione per tenere in vita la memoria della bambina. «Sono stata io a consigliare loro di non essere presenti oggi in aula – dichiara a MeridioNews l’avvocata Barbara Ronsivalle che li assiste – perché sarebbe stato un dolore enorme per un’udienza che, alla fine, è solo tecnica».
E, in effetti, così è stato. In apertura dell’udienza si è insediata la corte presieduta da Sebastiano Mignemi e ognuno dei membri ha letto la formula di giuramento. Poi si è passati alle richieste di prova: trascrizioni di conversazioni e intercettazioni sia telefoniche che ambientali, l’analisi dei rilievi tecnici, l’escussione dei testi degli elenchi delle varie parti, l’acquisizione dei tabulati telefonici, l’interrogatorio dell’imputata. Tutte accettate dalla corte con l’esclusione, come richiesto dagli avvocati della difesa, almeno momentanea fin quando non saranno ascoltati come testi gli ufficiali di polizia che hanno compiuto le indagini, di alcune annotazioni di indagini perché «ci sono elementi anche di natura valutativa». Su richiesta del pubblico ministero, la corte ha anche sospeso i termini di custodia cautelare per l’imputata perché si tratta di un procedimento «di particolare complessità. Per il numero di testi da sentire, per gli accertamenti di natura tecnica specialistica che sono stati svolti nel corso delle indagini preliminari, per l’analisi delle consulenze sulla capacità di intendere e di volere dell’imputata, per le richieste di trascrizioni che sono state avanzate». Ed è proprio da qui che si riprenderà il processo nel corso della prossima udienza – che è già stata fissata – con il conferimento dell’incarico a un perito. Poi si passerà all’audizione dei primi testi del pubblico ministero che saranno gli agenti di polizia giudiziaria.
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