Voci che si sovrappongono e avvocati che si lamentano per gli angusti spazi che offre loro l’aula Serafino Famà. Sono questi i tratti distintivi della seconda udienza del processo Caronte. Il procedimento nato dopo il blitz antimafia di novembre 2014, che portò agli arresti di 23 persone tra imprenditori e boss mafiosi di Catania e Palermo. Nella lista degli imputati, tra i tanti che hanno deciso di rispondere presente all’appello della Corte, c’è Enzo Ercolano. L’ex re dell’autotrasporto, figlio dell’ormai defunto capomafia Pippo. Enzuccio, come più volte veniva indicato nei colloqui intercettati dell’indagine, ha assistito al processo da dietro le sbarre di una delle celle di sicurezza assistito dai suoi legali Francesco Antille e Fabio Federico. Tra il pubblico decine di familiari, che spesso si sono lasciati andare in saluti e gesti di conforto verso gli altri imputati detenuti.
Alla sbarra ci sono 26 persone: l’elenco comprende la sorella di Enzo, Cosima Palma e il cognato Concetto Palmino Distefano. Ma anche gli imprenditori Santo Massimino, Francesco Caruso e Giuseppe Scuto. Secondo l’accusa, in aula il magistrato Antonino Fanara e la collega Agata Santonocito, Ercolano avrebbe scalato i vertici del settore degli autotrasporti grazie a «uno spessore criminale elevatissimo». Per la procura di Catania sarebbe proprio l’imprenditore, ex vertice dell’azienda Geotrans oggi confiscata, «il principale esponente» della famiglia di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano.
Tra gli avvocati più attivi in udienza c’è Davide Giugno che più volte lamenta la mancanza dello spazio «anche per poter aprire i fascicoli». Il legale è quello che si fa sentire anche quando c’è da analizzare le richieste di costituzione delle parti civili: «Dobbiamo valutare gli statuti e le conformità delle richieste». Oltre all’associazione Libera a chiedere di poter partecipare al processo ci sono la onlus antimafia Paolo Borsellino, Sos Impresa e la Cna Fita, sigla che si occupa di trasporto. A rappresentarla in aula c’è la sua presidente, la modenese Cinzia Franchini. «Abbiamo deciso di essere presenti per tutelare gli associati e tutti quegli imprenditori piccoli e grandi che ogni giorno leggono rappresentazioni del loro settore e della loro professione troppo spesso accostata al ruolo invadente e deturpante della malavita e delle mafie. Una immagine pessima perché non appartiene alla gran parte del mondo produttivo – spiega a MeridioNews -, che ogni giorno contribuisce al trasporto delle merci in Italia».
Per sapere chi verrà ammesso tra le parti civili bisognerà però attendere la prossima udienza, quando la Corte scioglierà la riserva. Da piazza Giovanni Verga, dove ha sede il tribunale etneo, il processo si trasferirà al penitenziario di Bicocca. Anche quel giorno Franchini sarà presente: «Credo sia doveroso per chi, forte anche del ruolo istituzionale, afferma di voler contrastare le infiltrazioni malavitose farlo fino in fondo, facendo seguire alle parole e ai comunicati stampa, anche e soprattutto le azioni legali e comportamenti coerenti fino dentro le aule dei tribunali».
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