False accuse a un collega a capo di un reparto Anticrimine del Ros di Palermo per farlo finire ingiustamente a processo. Il procuratore reggente di Agrigento Salvatore Vella ha chiesto un nuovo rinvio a giudizio per il comandante provinciale dei carabinieri di Agrigento: il colonnello Vittorio Stingo è accusato di calunnia. L’episodio si inquadra nell’ambito di una precedente inchiesta per la quale Stingo è imputato, davanti alla gup Micaela Raimondo, per rivelazione di segreto di ufficio insieme ad altri due ufficiali: Augusto Petrocchi, capitano della compagnia dell’arma di Licata e il capitano Carmelo Caccetta, ex comandante del nucleo operativo radiomobile della stessa compagnia. L’accusa, nel primo procedimento, è fuga di notizie tutta interna all’arma rischiando di mettere a rischio l’indagine che, lo scorso 4 luglio, portò all’arresto del maresciallo Gianfranco Antonuccio che era indagato per un presunto giro di tangenti.
Secondo quanto ipotizza la procura, Stingo sarebbe stato informato lecitamente dell’indagine dall’allora procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, adesso a capo dei pm di Roma, e da un altro ufficiale. Stingo «violando i doveri inerenti le funzioni – è l’atto di accusa dei pubblici ministeri – rivelò le circostanze al sottoposto capitano Petrocchi al fine di avviare una procedura di trasferimento per incompatibilità ambientale di Antonuccio». A quel punto, Petrocchi avrebbe riferito a Caccetta e a un altro carabiniere le informazioni apprese da Stingo sempre per le stesse finalità, ossia fare trasferire la «mela marcia» della compagnia. Il tutto, però, «prima che venisse arrestato o fosse nota la sua condizione di indagato». Caccetta, infine, avrebbe rivelato quanto appreso da Petrocchi a un luogotenente che lavorava con Antonuccio per metterlo in guardia e tenersi distante. La nuova richiesta di rinvio a giudizio per calunnia a carico di Stingo – i due procedimenti potrebbero essere unificati e confluire in un’unica udienza preliminare – consiste nell’avere mentito ai pm in occasione dei due interrogatori, insieme al suo legale Salvatore Pennica, con cui si difendeva dall’accusa di rivelazione di segreto di ufficio. In particolare, avrebbe negato di avere ricevuto l’informazione istituzionale dell’avvenuto deposito dell’informativa finale a carico di Antonuccio nei cui confronti era stata chiesta una misura cautelare.
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