Politici corrotti, Sicilia terza regione in Italia Davigo: «Codice penale è spaventapasseri»

La Sicilia si conferma una tra le tre regioni in Italia dove «la corruzione politica è più alta», preceduta solo dalla Campania e Lombardia, e nella quale è più presente «la connessione fra questi reati e criminalità organizzata». Un trend costante a partire dalla seconda metà degli anni Novanta fino alla metà dei Duemila, con una leggerissima flessione negli ultimi dieci anni. È quanto emerge dall’VIII rapporto della Fondazione Res La corruzione politica al Nord e al Sud, i cambiamenti da Tangentopoli a oggi presentato oggi a Palazzo Branciforte, a Palermo. L’indagine mette in luce come, dopo una temporanea riduzione di questi reati per effetto della stagione legata a Tangentopoli, la corruzione politica nel Paese «continua a crescere e inquinare le istituzioni». 

Un fenomeno ancora molto presente nel Mezzogiorno e, in particolar modo, in Sicilia: tra le regioni con il maggior numero in assoluto di reati, infatti, prima figura la Campania (246), seguita dalla Lombardia (209), poi la Sicilia (167), quarta la Puglia (129). Le regioni più virtuose, al contrario, sono la Valle d’Aosta e l’Umbria«La Sicilia è una regione nella quale la rilevanza della corruzione politica è più alta assieme ad altre regioni nel Mezzogiorno – spiega Rocco Sciarrone curatore scientifico del rapporto Res presentato oggi a Palermo alla presenza del presidente dell’Anm Piercamillo Davigo -, ma nell’Isola la corruzione politica sembra in crescita nel corso degli anni e, anche nell’Isola, si registra molto forte il rapporto con il mondo criminale. In modo particolare è più rilevante la presenta di organizzazioni criminali e c’è una connessione tra corruzione e criminalità organizzata: dallo studio emerge una tendenza di lungo periodo nell’ultimo decennio in tutto il Paese, prevalente nel Mezzogiorno e, in modo particolare, nella Sicilia».

Secondo i dati analizzati nel rapporto, infatti, erano 400 in totale i reati contestati ai politici tra il 1980 e il 1994, valore poi sceso a 317 tra il 1995 e il 2004, mentre tra il 2005 e il 2015 si è assistito a un’impennata che ha portato i reati totali commessi da politici a 517, ben al di sopra del livello pre-Tangentopoli. La ricerca – la prima nel suo genere che utilizza due fonti di informazioni finora mai utilizzate sistematicamente: la banca dati delle sentenze di Cassazione (dal 1985 a oggi) e i casi considerati nelle autorizzazioni a procedere in Parlamento – si concentra solo su quei crimini legati alla corruzione che coinvolgono direttamente detentori di cariche politiche amministrative a livello locale, regionale e nazionale.

«Abbiamo confrontato sulla stessa base di dati a partire dal 1980 fino a oggi e in Sicilia l’andamento dei reati segue una curva rovesciata. C’è un picco tra la metà degli anni ’90 e la metà degli anni 2000». Un dato in controtendenza, quindi, rispetto al valore medio nazionale? «Non direi, perché la flessione è minima e, comunque, va interpretata – sottolinea -. In Sicilia, ad esempio, ha svolto un ruolo fondamentale l’azione repressiva delle forze dell’ordine. Ma ci sono anche alcune tipologie di reati che tendono a fagocitare altri fenomeni: certi fenomeni, quindi, non emergono solo perché si dovrebbero svolgere indagini più approfondite».

Tornando alla ricerca, nelle sentenze della Cassazione, i reati più contestati risultano la corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio (17%) e la concussione (11%). Il finanziamento illecito ai partiti è presente in misura minore (6%). Più rilevanti sono invece i reati associativi (l’associazione a delinquere e quella di stampo mafioso, che insieme raggiungono il 12%). I reati di corruzione in senso stretto restano tendenzialmente stabili nel tempo mentre cala sensibilmente dopo il 1994 il finanziamento illecito ai partiti (dal 29% al 7%) e salgono gli “altri reati” (tra cui, in particolare, i reati associativi): dal 35% al 46,5%. Questi ultimi sono in forte crescita nell’ultimo decennio, soprattutto al Sud, dove incidono per il 18%. I reati di corruzione sono maggiormente presenti a livello comunale (55%), mentre quelli associativi a livello regionale (46%). 

Per nulla stupito dal quadro a tinte fosche delineato dal rapporto, il numero uno dell’associazione nazionale dei magistrati che punta il dito contro la classe dirigente che da vent’anni guida il Paese: «In Italia delinquere conviene. Nel nostro paese il Codice penale svolge una funzione di spaventapasseri: da lontano fa paura e poi quando ci sia avvicina ci si rende conto che è innocuo. La corruzione ha dimensioni impressionanti perché abbiamo apparati del tutto inidonei per affrontare questo fenomeno. L’attività principale di tutta politica negli ultimi vent’anni – conclude – è stata non di rendere più difficile la corruzione, ma di impedire le indagini e processi su questo fenomeno».


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