Un mosaico di affari in cui si sarebbero mossi «soggetti assolutamente privi di scrupoli». Protagonisti, seppure con ruoli e compiti diversi, di un «meccanismo diabolico» capace di «camminare da sé». Usando una metafora sportiva bastavano «allenamento e gambe muscolose per saltare tutti gli obblighi verso lo Stato». Così un fiume di soldi sarebbe sfuggito all’erario grazie «a un pacchetto di servizi», offerti a società private destinate al fallimento dallo studio commercialista di Antonio Pogliese. Settantaquattro anni e un profilo professionale sterminato fatto di incarichi di assoluto prestigio tra banche e università. È lui, secondo i magistrati della procura di Catania e i militari della guardia di finanza, il «comune denominatore» di questa storia. Messa nera su bianco nelle carte dell’inchiesta ribattezzata Pupi di pezza, la stessa che ha portato Pogliese, insieme alcuni dei suoi più stretti collaboratori, agli arresti domiciliari.
Il 26 maggio 2016 è il giorno in cui Riscossione Sicilia inviava alla procura un elenco di imprenditori con grossi debiti nei confronti dello Stato. Ad accomunarli, in molti casi, c’era il fatto di avere affidato le loro società a dei presunti prestanome. Tra questi viene individuato Enrico Virgillito, bollato dagli inquirenti come «assolutamente inadeguato al ruolo». In mezzo la figura del padre, Salvatore. L’uomo, che è accusato di essere il tramite con lo studio Pogliese e gli imprenditori, è spesso spazientito per i pagamenti che gli stessi avrebbero dovuto garantire al figlio per i rischi che correva. A pesare su Pogliese, secondo gli inquirenti, è anche la consapevolezza delle possibili azioni della procura. Lo stesso, in un’occasione, ne parlava con il revisore contabile Michele Catania. «Non escluderei che possano fare un monitoraggio», diceva il 74enne. «La cosa più pericolosa è questa», replicava il suo interlocutore. Preoccupato che si andasse oltre Virgillito, definito «un pupo di pezza». «Gli incarichi che ha avuto […] vanno riconducibili a noi – continuava Pogliese – dimostrano che lui sta facendo questa attività».
La miscela tratteggiata nell’ordinanza di custodia cautelare svelerebbe uno schema in cui gli indagati si sarebbero preoccupati «soltanto di limitare i danni e massimizzare i profitti, pur essendo a conoscenza dei rischi», con una sorta di «propensione abituale a delinquere», scrive il giudice per le indagini preliminari Santino Mirabella. In questo Pogliese, secondo l’accusa, sarebbe stato affiancato da alcuni professionisti del proprio studio. «Ognuno dei quali si occupa di una determinata società e mantiene i contatti con i liquidatori», specifica il gip. Dietro ci sarebbe stata comunque una gestione diretta del noto commercialista. «Pogliese – aggiungono gli inquirenti – interviene in tutte le circostanze di maggiore complessità». Questo, per esempio, è il caso della Diamante Fruit, società che negli anni avrebbe accumulato un debito, per tributi non versati, di quasi 110 milioni di euro.
Dagli atti emergono anche i continui malumori dei Virgillito. In particolare per i ritardi nei compensi nonostante la mole di documenti da firmare. In un caso Salvatore Virgillito minaccia pure di essere disposto a rivolgersi a un certo Santapaola. «Così gli faccio vedere chi è Turi Lambretta (nomignolo con cui spesso l’uomo viene identificato, ndr)». Qualche volta arrivano anche le buone notizie e non ne viene fatto mistero nemmeno al telefono: «Amore mio – annuncia Virgillito alla moglie – ce l’abbiamo fatta, oggi non c’era confusione. Minchia c’era Pogliese davanti ma non sono riuscito a bloccarlo. Quel Catania, che ad Enrico gli vuole un bene da morire, gli ha dato 2400 euro». Dettagli che, secondo gli inquirenti, renderebbero «evidente il ruolo svolto dai professionisti dello studio Pogliese, facendo da collante tra le teste di legno e i reali amministratori della società».
Tra le tante intercettazioni finite nel mirino della procura ce n’è poi una che rimanda anche al nome del figlio del commercialista Pogliese, Salvo. L’attuale sindaco di Catania che però non è coinvolto nell’inchiesta. I protagonisti sono sempre i due Virgillito che, ambiziosi, in caso di elezione del politico di Forza Italia, vorrebbero ottenere un posto a Palazzo degli elefanti. «Non ce la dovrebbe fare, ma se ce la fa Salvo Pogliese – dicevano – e non ti fa entrare come categoria protetta…». «Ma stai scherzando. Mi deve fare entrare per forza, papà», rincarava la dose il figlio, che in municipio non ha mai messo piede. L’inchiesta Pupi di pezza non è ancora chiusa e, secondo quanto emerso nelle ultime ore, non si esclude che possa coinvolgere altri nomi.