Nel giorno della scadenza per la consegna delle liste per le prossime elezioni amministrative di fine maggio a Catania, la notizia più attesa è stata comunque quella che riguarda la sentenza per l’ex sindaco Salvo Pogliese. Oggi senatore della Repubblica di Fratelli d’Italia, l’ex primo cittadino è imputato nel processo d’Appello per peculato per le cosiddette Spese pazze all’Ars di quando era deputato all’Assemblea regionale siciliana e capogruppo del Popolo delle libertà (Pdl). In primo grado, Pogliese era stato condannato a quattro anni e tre mesi. Una condanna, che gli era costata anche la sospensione da sindaco del capoluogo etneo per effetto della legge Severino. Stessa sorte giudiziaria chiesta nel corso di questo processo di secondo grado dal sostituto procuratore generale Carlo Marzella. E, invece, per l’ex primo cittadino è arrivata sì una parziale conferma della condanna, ma con una riduzione della pena a due anni e due mesi. I giudici, infatti, hanno riconosciuto la piena legittimazione delle anticipazioni (per una cifra di 45mila euro) ma non l’indennità da capogruppo (di 500 euro al mese per un totale di 28mila euro). Per Pogliese è venuta meno anche l’interdizione dai pubblici uffici.
«Non c’è stata nessuna appropriazione». Era stata questa la linea difensiva per l’ex sindaco di Catania con il suo avvocato Giampiero Torrisi che ha sempre portato avanti la tesi che si sia trattato di «anticipazioni di rimborsi e parte della sua indennità da capogruppo». Il legale, adesso, ha già annunciato il ricorso in Cassazione. Al centro dell’inchiesta, nata nel 2014 e che aveva coinvolto una novantina di persone tra deputati e impiegati della Regione, ci sono i rimborsi che ogni mese l’Ars prevede per le spese dei gruppi politici: un minimo di 3000 euro per ogni deputato, gestiti dal capogruppo. Per l’accusa, tra i conti di Pogliese ci sarebbero spese che nulla avrebbero a che vedere con le finalità del contributo.
Per i pubblici ministeri, Pogliese avrebbe usato quei fondi per proprie spese personali, ma anche per quelle di parenti e amici: soggiorni in hotel, pranzi al ristorante con moglie, suoceri e altri ospiti non legati all’attività politica, rifornimenti di benzina e ricariche telefoniche. Ma anche per pagare la retta per la scuola dell’infanzia del figlio e per comprare 40 ceste regalo consegnate allo studio di commercialisti diretto dal padre, Antonio Pogliese, dove altri soldi sarebbero serviti anche per ristrutturazioni varie, dalle maniglie delle porte fino a lavori di saldature e di pittura. Accuse che la difesa dell’attuale senatore ha sempre rigettato parlando di «compensazione della sua indennità di funzione e delle somme personali anticipate per il gruppo o addirittura versate sul conto corrente del gruppo». Insomma, per la difesa Pogliese si sarebbe soltanto ripreso quelle somme contestate dopo averle anticipate per fare fronte a spese del gruppo.
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