Pochi dettagli dall’esame del corpo di Failla «Autopsia? Quella libica era una macelleria»

«Non è stata un’autopsia, è stata una macelleria». Così Francesco Caroleo Grimaldi, legale della famiglia di Salvatore Failla – lavoratore di Carlentini ucciso a Tripoli insieme al collega sardo Fausto Piano -, commenta l’esame svolto in Libia sulla salma. E lo fa subito dopo l’accertamento gemello operato in Italia dai medici legali di parte. «I segni sono stati alterati da condizioni di conservazione della salma che non conosciamo. Possiamo dire che dopo l’autopsia a Tripoli molti dettagli non ci sono», spiegano Orazio Cascio e Luisa Regimenti. I due dottori sono riusciti a stabilire solo alcuni dettagli: «Le lesioni riscontrate sono lesioni d’arma da fuoco, in parte al torace, in parte al femore sinistro e all’omero sinistro. I fori sono circa sei ma la situazione di fronte alla quale ci siamo trovati non ci consente di dare ulteriori spiegazioni».

A mancare sarebbero non solo i vestiti della vittima, ma anche i proiettili che lo hanno ucciso e parte dei tessuti del cadavere. «L’assenza dei proiettili non ci fa risalire all’arma, l’assenza dei fori non ci fa risalire alla distanza dello sparo – continuano Cascio e Regimenti -. Alcuni fori (dello sparo, ndr) sono stati prelevati per motivi di indagine locale. È chiaro che per i fori di entrata e di uscita si procede a un esame istologico ma a noi non hanno consegnato nulla perché non abbiamo né il rapporto dell’eventuale medico italiano né quello del medico legale libico». Ostacoli che non permettono ai due dottori italiani di stabilire se Failla sia stato ucciso da una o più armi.

Dall’esame però è stata esclusa la presenza di colpi alla nuca. «Non ci sono tracce di colpi dati alla testa – spiegano i medici legali -. I colpi mortali sono almeno due: uno a livello dello sterno e uno a livello lombare. Tutti organi vitali che vanno facilmente in emorragia. Si rompono i grossi vasi e si muore subito». Il corpo di Failla e del collega Piano sono rientrati in Italia la scorsa notte. La moglie del lavoratore siciliano, Rosalba, aveva chiesto che l’autopsia si svolgesse in territorio nazionale. Ma i primi dubbi sull’esame svolto in Libia erano stati già avanzati dallo stesso legale della famiglia: «La drammatica verità è che si è trattato di un’autopsia vera e propria, non un esame cadaverico esterno».


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