Pellegrino si difende: «Sconti a nessuno» Annunciati esposti e querele ai giornalisti

Camicia bianca,
tre avvocati e circa quaranta, tra amici e familiari, che si lasciano andare in fragorosi applausi a interrompere la conferenza stampa. Riccardo Pellegrino, il consigliere comunale finito al centro dell’approfondimento della commissione antimafia per le presunte ombre di Cosa nostra tra i banchi del Comune di Catania, sceglie proprio una sala del palazzo incriminato per difendersi. A sostenerlo ci sono anche l’ex coordinatore regionale di Forza Italia Vincenzo Gibiino e quello provinciale Giuseppe Arcidiacono. Mischiato tra la folla, in cui spiccano diversi camici rossi della partecipata Multiservizi, c’è anche il consigliere comunale Agatino Tringale.

Il primo a prendere la parola, visibilmente commosso quasi con le lacrime agli occhi, è proprio
Pellegrino. Nelle 17 pagine della relazione dell’organismo regionale viene fatto il riferimento alla parentela con il fratello Gaetano. Conosciuto con il nome di Funciutu e considerato dalla procura di Catania tra i più fidati uomini del boss Nuccio Mazzei della cosca dei Carcagnusi. «Io per la politica ho una vocazione, nei miei confronti non è stato fatto nessun compromesso», esordisce il consigliere. Il suo è un intervento breve che alza spesso i decibel degli applausi, sopratutto quando il riferimento passa al quartiere popolare d’appartenenza, San Cristoforo: «Un posto di cui sono orgoglioso, nonostante i problemi come lo spaccio di droga, ma da colpire c’è anche chi la compra». Il politico under 30, si definisce vicino ai valori della chiesa e annuncia di «voler perdonare chi mi ha ucciso». Riferimento diretto a Nello Musumeci, che della commissione antimafia regionale è presidente. L’atto finale dell’intervento sembra però allontanarsi dalle linee guida dei vangeli. Pellegrino si rivolge ai giornali e spiega che «tutto quello che è stato scritto deve essere rimosso». Poi, battendo ripetutamente i pugni sul tavolo conclude, prima dell’ennesimo applauso: «Davanti a questa vicenda non ci saranno sconti per nessuno. Chi deve pagare, deve pagare».

A prendersela senza mezzi termini con i giornalisti è invece
l’avvocato Carlo Taormina. Il noto legale, atterrato direttamente da Roma per affiancare Pellegrino, bolla la stampa come «serva dei politici» e annuncia la richiesta di accertamenti per valutare la possibilità di diffamazioni nei confronti del suo assistito. Tra gli spunti del colorito intervento del penalista romano c’è anche la notizia di un esposto alla procura di Messina per valutare il comportamento professionale dei magistrati degli uffici giudiziari etnei, ritenuti colpevoli di aver trasmesso notizie frammentarie all’organismo regionale antimafia. «È vero che cane non morde cane ma c’è sempre qualche cagnolino che rompe i coglioni». Il nodo della vicenda è quello relativo al fatto che nella relazione della commissione regionale siano stati omessi alcuni passaggi sul fratello del consigliere.

Per chiarire i tecnicismi la parola passa all’avvocato etneo
Giuseppe Rapisarda. «Gaetano Pellegrino dopo il suo arresto è stato scarcerato perché prima la Cassazione e poi il tribunale del Riesame hanno constatato un’assoluta mancanza d’indizi a suo carico». Tra quelle presentate dall’accusa, dopo il blitz Ippocampo del 2014, c’era anche un’intercettazione nella quale l’uomo si diceva pronto a uccidere la moglie del boss Mazzei alla sola richiesta di quest’ultimo: «Se domani mi dice: “Devi ammazzare mia moglie”, Enza io ti ammazzo», spiegava alla consorte del Carcagnuso. Il fratello del consigliere, finito al centro del caso, al momento resta imputato nel processo di primo grado con l’accusa di associazione mafiosa.


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