Dopo i magistrati tocca all'avvocato Carmelo Peluso ripercorrere carriera e storia del potente proprietario del quotidiano La Sicilia. Dalle eredità di famiglia di immensi possedimenti terrieri fino ai rapporti con i massimi vertici istituzionali. Passando per i legami giudiziari con la vicenda Raffaele Lombardo
Patrimonio Ciancio, in udienza parla difesa editore Le accuse, l’imprenditore e le visite nel suo studio
La data del 20 marzo 2018, quando incomincerà il processo per concorso esterno in associazione mafiosa, è ancora lontana. Ma il nome di Mario Ciancio Sanfilippo risuona lo stesso nelle aule di giustizia del tribunale di Catania. Chiamato in causa nel processo per le misure di prevenzione, dopo un sequestro antimafia da 17 milioni di euro risalente a giugno 2015. L’editore ed ex direttore del quotidiano La Sicilia, ruolo quest’ultimo da tempo in coabitazione con il figlio Domenico, era assente nell’aula intitolata all’avvocato Serafino Famà. Per lui ha preso la parola in udienza il suo legale: l’avvocato Carmelo Peluso. Lo stesso che, insieme a Giulia Bongiorno, difende l’editore nella vicenda penale. Quasi tre ore d’intervento, sotto lo sguardo del giudice e dei pubblici ministeri Antonino Fanara e Agata Santonocito, per ripercorrere la storia del monopolista dell’informazione in città. Tra vicende imprenditoriali, inchieste e processi.
Secondo la difesa, per inquadrare la vicenda di Ciancio bisogna ripercorrere la vita dell’uomo finito sotto accusa dalla procura. Gli spunti sono quelli della tradizione di famiglia, con enormi possedimenti terrieri tra Adrano e Catania, ricevuti in eredità. In aula, durante l’udienza a porte chiuse, spazio anche al nome di Micio Sanfilippo, zio di Mario Ciancio ma non solo. È lui che nel 1976 lascia il giornale La Sicilia nelle mani del nipote. Ci sono poi i passaggi sulla storia editoriale ma anche gli incarichi personali. Le partecipazioni in tutti i giornali siciliani, l’esperienza, dal 1996 al 2001, come presidente della federazione italiana degli editori, o i ruoli nell’agenzia di stampa Ansa. Un capitolo a parte riguarda i legami affettivi e d’amicizia. Una lunga tela di rapporti di altissimo livello: da Camillo De Benedetti a Giovanni Agnelli fino alla storica ospitata a Carlo d’Inghilterra durante una sua visita in Sicilia. Riferimenti anche alle visite istituzionali. Lo studio dell’uomo d’affari, nell’edificio in cui ha sede il quotidiano in via Odorico da Pordenone, è da sempre tappa fissa di politici, questori, esponenti dei Carabinieri e prefetti. Un elenco lunghissimo e continuamente aggiornato. L’ultimo a fargli visita è stato il neo-presidente della Regione Nello Musumeci. Il tutto, secondo la difesa, rafforzerebbe la posizione di Ciancio di lontananza dagli ambienti mafiosi. Nell’ambito di un procedimento, quello discusso oggi, incentrato su parte del suo patrimonio che, secondo l’accusa, sarebbe di provenienza illecita.
L’avvocato di Ciancio ha sottolineato passato e presente dell’editore. Soffermandosi a lungo sulle vicende imprenditoriali che hanno riguardato il suo assistito. Dagli investimenti nei terreni, tra varianti urbanistiche e centri commerciali, fino al furto nella villa di contrada Cardinale. Un fatto risalente ai primi giorni del marzo 1992, quando un gruppo di ladri portò via alcuni preziosi pezzi d’antiquariato. Il 21 marzo La Sicilia pubblica un annuncio in cui l’editore promette una ricompensa da 50 milioni di lire per riuscire a ritrovare gli oggetti. La denuncia alle forze dell’ordine viene fatta dopo circa dieci giorni. Ma il vero colpo di scena è legato alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Catalano che, a distanza di anni, svela di un presunto interessamento della famiglia mafiosa dei Santapaola per la restituzione dei beni, con tanto di somma di denaro intascata.
Il difensore, prima di passare in rassegna cronologicamente le vicende giudiziarie che a marzo porteranno alla sbarra Ciancio, ha fatto anche riferimento al ruolo degli imprenditori in Sicilia e alla loro coesistenza con Cosa nostra, senza che cada nei meandri di patti e contiguità. Nella sua arringa il legale con ogni probabilità ha fatto riferimento ai lavori nei centri commerciali. I nomi sviscerati sono quelli di Vincenzo Basilotta, ormai defunto, e Mariano Incarbone, condannato in via definitiva per la vicinanza a Cosa nostra nell’inchiesta Iblis. Secondo l’accusa entrambi favoriti nella realizzazione delle opere. Non è dello stesso avviso l’avvocato. Chiari i riferimenti alla sentenza di primo grado, con cui è stato condannato l’ex presidente della Regione Raffaele Lombardo, con cui a detta della difesa sarebbe stata data un’accelerazione nel caso Ciancio. Salvo poi essere ribaltata tre anni dopo con il giudizio d’appello e il politico autonomista assolto dal reato di concorso esterno in associazione mafiosa. I lavori d’aula riprenderanno il 27 gennaio per la replica dei pubblici ministeri.