Il processo, con rito abbreviato, che parte dall'operazione En plein si è concluso ieri. La giudice Giuliana Sammartino ha accolto quasi del tutto le richieste dell'accusa. Condannato a dieci anni e otto mesi anche il collaborante Francesco Musumarra. Il collegio difensivo dei 16 imputati annuncia il ricorso in Appello
Paternò, condanne per cento anni di carcere La guerra di mafia nelle rivelazioni del pentito
Condanne per cento anni di carcere. È finito così il processo En plein, che si è svolto con rito abbreviato davanti alla giudice Giuliana Sammartino. Gli imputati erano stati arrestati nel corso dell’operazione che dà il nome al processo, eseguita l’8 aprile del 2015 dai carabinieri della compagnia di Paternò. In quell’occasione erano stati presi 16 presunti affiliati ai due clan storicamente rivali: i Morabito-Rapisarda, alleati dei Laudani, e gli Alleruzzo-Assinnata, referenti della famiglia Santapaola-Ercolano. La giudice Sammartino ha in parte accolto le richieste di condanna avanzate dai magistrati Antonella Barrera e Andrea Bonomo. Fondamentali le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Musumarra, che ha confessato di essere uno dei killer che ha ammazzato il boss Salvatore Leanza. A lui sono stati dati dieci anni e otto mesi di carcere, otto mesi in più rispetto a quanto era stato richiesto dai magistrati.
Gli investigatori ritengono di avere individuato i componenti del gruppo di fuoco che ha ammazzato il boss Turi Leanza, legato al clan Alleruzzo-Assinnata. Oltre al collaboratore di giustizia Francesco Musumarra, che si è autoaccusato dell’omicidio, ci sarebbero anche Alessandro Farina, Sebastiano Scalia e Francesco Peci. Avrebbero fatto fuoco con una pistola calibro 7.65, una calibro 9 e una calibro 38. A essere individuato dagli inquirenti come mandante del delitto è stato Salvatore Rapisarda. E sempre lui avrebbe voluto l’omicidio di Antonino Giamblanco. Rapisarda, dal carcere di Bicocca dove era detenuto, avrebbe ordinato al figlio Vincenzo di dare seguito all’esecuzione. Poi fallita soprattutto per via della scaltrezza e del sangue freddo della vittima designata. A comporre il commando in quella circostanza sarebbero stati Francesco Peci e Francesco Musumarra.
Con la sentenza di oggi, la pena più pesante è stata inflitta a Santino Francesco Peci: 13 anni di carcere, così come aveva chiesto la pubblica accusa. La condanna più lieve, invece, è stata inflitta a Vincenzo Patti: sei anni. Gli altri imputati: Giovanni Pietro Scalisi, Angelo Primo Sciortino e Salvatore Tilenni Scaglione (dieci anni e otto mesi); Giuseppe Tilenni Scaglione (undici anni e quattro mesi); Rosario Furnari e Antonio Magro (otto anni e otto mesi); Antonino Giamblanco e Sebastiano Scalia (otto anni). Antonino Barbagallo, per il quale era stata chiesta una condanna a nove anni di carcere, è stato assolto «per non aver commesso il fatto».
Il collegio difensivo – che ha già annunciato il ricorso in Appello – è composto dagli avvocati Salvatore Caruso, Vittorio Lo Presti (legale di Antonino Barbagallo, unico assolto), Lucia D’Anna, Salvatore Pace, Salvo Cannata e Francesco Messina. Le motivazioni della sentenza saranno depositate tra 15 giorni. Discorso a parte, invece, va fatto per Salvatore Rapisarda, suo figlio Vincenzo Salvatore Rapisarda, Alessandro Giuseppe Farina, Giuseppe Parenti ed Enzo Morabito. Questi ultimi saranno processati con il rito ordinario. Per loro l’udienza è stata fissata il prossimo 4 luglio.