Parla Michele, il leader della Curva Nord «Capopopolo? Sono una persona normale»

«Metti passione in quello che scrivi, ti chiedo solo questo». Gli occhi di Michele si illuminano mentre parla di calcio e di Catania. Già, la passione. L’alchimia inspiegabile che, se fortunati, anima le cose che facciamo in vita. Michele Spampinato è il leader della Curva Nord del Massimino. «Sono una persona normale, un uomo che negli ultimi otto mesi si è preoccupato soprattutto di trovare un lavoro stabile. Visti i tempi mi sembra un fatto comune a molti». Sconta una diffida, il cosiddetto daspo, che scadrà a marzo del 2015. «Probabilmente, il mio noto ruolo di ultrà – spiega Michele – mi ha fruttato una denuncia per corteo non autorizzato il 12 dicembre dello scorso anno, in occasione della grande manifestazione contro la disoccupazione. Una strana coincidenza».

È stato chiamato in causa da una fredda analisi di Repubblica che lo definisce un capopopolo. Sarebbe uno dei padroni delle curve d’Italia, il signore di un territorio che applica regole ferree non codificate che prevedono botte, minacce e complicità. «Curva vuol dire coreografia, rispetto delle tradizioni, senso di appartenenza – spiega Michele – Qui il calcio non c’entra, è solo una visione diversa delle cose. Il movimento ultras è la più grande aggregazione dei nostri tempi, se non la conosci non la abbracci. Capita spesso che uno di noi abbia difficoltà a racimolare i soldi per la trasferta o per il biglietto, così facciamo una colletta per aiutarlo. Solo amicizia e affetto, altro che botte e minacce. Sono circondato da amici e gente che mi vuole bene, sei con me e lo vedi».

La vicenda di Genny a’carogna nel pre partita di Napoli-Fiorentina ha rispolverato vecchie etichette appiccicate sulla pelle dei tifosi del Catania, su tutte quella di rappresentare il tifo più pericoloso di Sicilia. Un tatuaggio indelebile marchiato a fuoco il 2 febbraio di sette anni fa. Un brutto distintivo, seppur scolorito a forza attraverso l’autocontrollo e l’equilibrio degli ultimi anni. Comportamento che ha prodotto, secondo il Viminale, l’appellativo di «tifoseria dormiente» cioè ritenuta quieta e pericolosa solo potenzialmente.

«Dopo la morte dell’ispettore Filippo Raciti le cose sono cambiate, c’è stato un inasprimento delle sanzioni e l’obbligo della tessera del tifoso. Catania ha accusato il colpo e nel corso del tempo il suo tifo ha dimostrato maturità e senso di responsabilità. Non mi sembra, però, che le cose siano andate meglio nel resto d’Italia. L’ultrà ha sempre rappresentato il primo servizio d’ordine, perché racchiude componenti diverse: cooperazione, organizzazione, dialogo. E chi ha più carisma e consapevolezza è il soggetto naturale per dare l’esempio. Oggi il movimento ha smarrito il marchio di fabbrica, tutto italiano, fatto di passaggi essenziali come l’organizzazione, la compattezza del gruppo e il tesseramento».

Solo poche settimane fa Michele ha sottoscritto una lettera aperta indirizzata alla società del Catania, un documento pubblico per avere risposte sulle cause della disastrosa stagione e sul futuro. Una libera manifestazione di pensiero interpretata nello stesso articolo di Repubblica come «lettera contro il presidente Pulvirenti». «È una lettera pubblica – conclude Michele – scritta in veste di tifoso. Chiediamo spiegazioni per il mancato acquisto di un attaccante, è un fatto così strano? Abbiamo sfilato in corteo, regolarmente autorizzato, per esprimere civilmente e con chiarezza la nostra posizione sul brutto momento del Catania. Mi rendo conto che oggi portare la sciarpa al collo è diventato un problema».


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