Paolo Hendel: la satira che punge, a volte troppo

Paolo Hendel è il campione della più pungente satira della realtà sociale e politica italiana. Laureato in Lettere, prima di intraprendere la sua carriera artistica ha fatto anche l’investigatore privato e il guardapesca. Dopo l’esordio con David Riondino, nel 1981, nel quale la leggenda narra che si spaccasse i cocomeri in testa sul palcoscenico, è stato un susseguirsi di film, teatro e partecipazioni a trasmissioni televisive. Dalla pellicola “La notte di San Lorenzo” dei fratelli Taviani (1982) alla conduzione de “I Martedì di Paolo Hendel” su Rai Tre (1998), dal cinico l’imprenditore Carcarlo Pravettoni di Mai dire Goal al Ciclone di Leonardo Pieraccioni (1999). Il “toscanaccio” non si è mai risparmiato nelle sue innumerevoli performance, regalandoci sempre tante risate, toccando i temi più scottanti e attuali del nostro paese.

Signor Hendel, c’è stato mai qualcuno che si è sentito troppo toccato dalle sue battute pungenti?
Singoli individui mai. C’è chi vede la satira come qualcosa di pericoloso, di negativo, che in qualche modo addirittura, e sto pensando ad alcuni dirigenti Rai e Mediaset, serva come un espediente per far passare sotto sotto chissà quale messaggio politico.
Io credo, al contrario, che la satira risponda a un bisogno fisiologico di togliersi dei pesi dallo stomaco, è una sana reazione alle cose brutte della vita.
Ridere vuol dire anche esorcizzare tutto ciò che non ti piace, che ti fa paura, che ti fa arrabbiare. Io da tanti anni faccio questo nei miei monologhi, mi guardo intorno e indico le cose che non mi piacciono, cerco di giocarci intorno e di riderci sopra con il pubblico che trovo in teatro. Ogni singolo spettacolo, poi, in qualche modo si trasforma anche in base alle novità e all’attualità.

Lei nel 2004 doveva fare uno spettacolo con Panariello e poi era passato con la Dandini, su Rai Tre. Cosa ha scatenato i dissensi dei vertici Rai?
In realtà c’è stata una grossa ottusità. La Rai è un carrozzone e non è qualcosa di monolitico con una sua precisa linea. All’inizio, quando mi hanno chiamato per partecipare alla trasmissione “Ma il cielo è sempre più blu”, di Panariello, mi sono presentato al primo incontro con il regista e l’autore della trasmissione con una proposta, un canovaccio apertissimo, di una decina di pagine di possibili battute da utilizzare. Era l’occasione per giocare con Giorgio su vari argomenti. Poi qualcuno, qualche dirigentone, si è accorto dopo, che se io devo fare un pezzo, lo faccio riferendomi alle cose del momento, anche perché la satira in qualche modo deve legarsi alle cose che succedono, non a un mondo di pura fantasia. Io sono convinto che quando si va in televisione non si può arrivare con un intervento già preconfezionato. Bisogna costruire l’intervento con gli autori della trasmissione, con conduttore e regista, in modo da fare un intervento adeguato alla trasmissione. Io mi sono messo nelle loro mani dicendo “Aiutatemi a capire la situazione e vediamo quali di queste battute può essere interessante utilizzare”.

E quindi?
Dopo qualche giorno mi hanno informato che il mio intervento era stato bloccato, che c’era stato un ripensamento in alto loco e che mi si diceva “Se vuoi tornare un’ altra volta, torna pure, basta non parlare di politica, di sesso, di religione, di guerra e di pace e non nominare il nome di Bruno Vespa invano e poi in televisione puoi dire quello che vuoi”.
Questo è stato il discorso per riportarlo in una battuta. Chiaramente mi sono trovato nell’impossibilità di fare un intervento, perché mi avevano tolto tutti gli argomenti, non sapevo più di cosa altro avrei potuto parlare. Io ero disponibilissimo a preparare un argomento con loro, rinunciando ad alcuni argomenti e sceglierne altri. Ma con questa premessa, lei capisce che mi era impossibile. 

In quali programmi si fa una buona satira?
La satira politica praticamente non entra nella prima serata della Rai. Invece, ci sono programmi di seconda serata come mai dire Goal, Le Iene, e conduttori come Fabio Fazio e Serena Dandini, che riescono a trasmettere qualcosa che va al di là della cappa di censura e di controllo. Ma nelle trasmissioni di prima serata questo discorso non va. I telespettatori italiani si considerano come dei bambini immaturi e si decide per loro cosa possono o non possono vedere. Credo che questa cosa sia grave perché impedire la satira sia toglierci la libertà di ridere delle tante cose che non vanno, e questo è inaccettabile. Facciano quello che vogliono, ma almeno gli lascino la libertà di ridere delle cose che combinano.

Lo spettacolo che ha portato in tournée questa estate si intitola “Non ho parole”.
E’ un’esclamazione di gioia nel vedere quante parole ci sono, quante idee ti danno. Purtroppo si sa che peggio vanno le cose e più ci sono argomenti per noi comici. Direi che in questo mirabolante regno di Berlusconi gli spunti non ci mancano di certo.
Viviamo una situazione anomala per un paese democratico sin dall’inizio.
Il problema non è la Destra e la Sinistra, il problema è che in Italia non c’è una Destra seria, che rispetta le regole, che le condivide. Quello che mi mette malumore, e da questo nasce ancora di più la voglia di riderci cosa – che fa bene alla salute – è questa anomalia italiana. Abbiamo un Presidente del Consiglio, uno degli uomini più ricchi del mondo, che è padrone di quasi tutte le televisioni.
Dire queste cose ogni volta ti fanno sentire monotono, come se ripetessi cose ormai note, la cosa più negativa è questa, alla quale noi rischiamo di abituarci.
In Sicilia tutto questo affiora con più forza. Le coperture, gli inquietanti stallieri, gli intrecci, sono cose che vanno bene al di là del sospetto.

Lei ha mai preso querela per le sue battute graffianti?
No. Il rischio querela c’è più in televisione. Io ne faccio troppo poca – risponde sorridendo – per dovermene preoccupare.

Nel 2003 lei ha scritto il libro “Ma culo è una parolaccia?”, nel quale mette alla berlina i difetti umani, partendo dall’età dell’homo “semipiegatus” per arrivare a 150 milioni di anni dopo Cristo.
Più che un libro era una trascrizione parola dopo parola di un mio monologo di allora, il tema della terra e del futuro, che è un tema affascinante perché può aiutare a capire il presente. Siamo circa sei miliardi di persone già ora, nel 2050 dovrebbe raggiungere la cifra di più che rispettabile di 9 miliardi. Di questi, 8 miliardi circa saranno dei paesi cosiddetti sottosviluppati, quelli che noi chiamiamo extracomunitari. Sottosviluppati forse sì, ma scemi non di certo. Un giorno si guarderanno in faccia dicendo “Ragazzi siamo otto contro uno, che si fa, si va?” . A un certo punto vengono qui tutti insieme, lo stesso giorno, la stessa ora e come dico nello spettacolo dico: “Ci fanno un culo così”.
Questo per dire che la risoluzione del problema dell’integrazione fra popoli di regioni diverse del mondo diventa necessario. L’integrazione è già in atto da anni, sono assurde le posizioni della Lega Nord che si oppone a questo processo. Bisogna fare in modo che avvenga nella maniera giusta, con la comprensione reciproca, integrando le varie culture, arricchendo la nostra società. L’immigrazione deve essere concepita come una ricchezza.
 
Nel panorama italiano individua in qualche attore o comico un suo possibile erede?
Io mi sento ancora un giovanottino alle prime armi, sono tantissime le cose che devo imparare. Non mi sento nella posizione di uno che pensa di lasciare eredi, ma al contrario nella posizione di uno che deve fare tanti passi. La cosa miracolosa che mi succede è che rispetto a dieci anni fa mi diverto di più adesso perché all’inizio, durante i miei monologhi, sentivo prevalere un tono un po’ esasperato. Adesso, con il passare degli anni, mi piace sempre più giocare con leggerezza intorno ad argomenti che in realtà spesso sono tutt’altro che allegri. E lì sta la scommessa, riuscire ad essere seri anche quando gli argomenti non lo sono affatto.
Forse quando avrò una novantina di anni comincerò ad essere un po’ soddisfatto di quello che faccio e di come lo faccio.

 


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