Di gabriele bonafede
Palermo abbraccia il Biondo e Haber nella prima-abbonati
di Gabriele Bonafede
Cantami, o Superbia, del ripetuto applauso, lode a festa, che infiniti addusse, lussi agli dei Per fortuna la Superbia non canta e la ricca semplicità trionfa.
È quindi un successo al Teatro Biondo, e non solo grazie a uno spettacolo tanto godibile e denso quanto semplice e in crescendo. Ma anche per labbraccio caloroso di Palermo alla prima rappresentazione per abbonati: quattro, cinque, sei e più volte tornano gli attori per raccogliere applausi di soddisfazione. Abbonati che si ritrovano, come amici di questa città e di questo teatro, per dare linfa a un progetto tanto speranzoso quanto ambizioso.
Nel dettaglio, la nuova gestione del direttore Roberto Alajmo, e di tutto il suo staff, è già un successo clamoroso: gli affezionati passano da 1.726 nella scorsa stagione a 3.797 questanno.
Ed è dunque attesa curiosa per la prima nel primo spettacolo della stagione-abbonati corrente: Il visitatore di Éric-Emmanuel Schmitt, nella messa in scena di Valerio Binasco con Alessio Boni ed Alessandro Haber.
Attraverso la sua riconoscibile voce, Haber gioca a ricalcare Freud rendendolo più umano, comprensibile, persino semplice. Quasi un Freud spiegato al popolo, dunque, che al contempo riesce a spaziare nei più grandi temi dellesistenza e nel rapporto intimo con Dio, denunciando la mancanza forse più grave dellumanità rispetto a qualsiasi Dio esistente o meno: la superbia.
Alessandro Haber e Alessio Boni in “Il visitatore”La superbia del dotto, della cultura, della quale il teatro è tempio, della bestemmia nel contestare le mancanze concrete dellessere supremo. Un Dio che è uomo, che si fa uomo, e che dunque è più Cristo che altro Dio.
E così luomo, Freud, malato e impacciato nel camminare, nellarrancare fisico come mentale, si arrende e nuoce, si arrovella e scopre, spera e dispera di fronte a Dio e alluomo. LUmile non scappa, rimane, consiglia, induce, suggerisce, gioca: per farsi riconoscere dove la presunzione non arriva e rimette la fede indietro, o così vorrebbe.
E ne avrebbe ben donde, luomo, se non è spiegata la massima malvagità umana permessa nel mondo: quella del genocidio etnico, nel caso lo sterminio degli ebrei perpetrato dai nazisti.
Haber, in questo percorso, è ben aiutato da Alessio Boni (un inaspettato visitatore), agile in scena a ben rimarcare leterna ed eterea gioventù delleventuale essere supremo rispetto alla limitata deambulazione terrena del vecchio Freud, e da Nicoletta Robello Bracciforti (figlia di Freud) che lo riporta con candore alla necessaria materialità umana, a sua volta corroborata dalla clarté di Francesco Bonomo (il nazista) chiamato, con un certo successo, a dare corpo alla dannazione della superbia, quella vera, e alla vigliacca tracotanza della pura meschinità umana.
Regia (Valerio Binasco) e scenografia (Carlo De Marino) appaiono certe, sobrie e tradizionali, riponendo una meritata fiducia in personaggi, dialoghi, ritmi e attori, così come nelle garbate musiche di Arturo Annecchino e negli attenti costumi di Sandra Cardini.
Da non mancare nelle repliche che dureranno fino al 26 gennaio e così scoprire e riscoprire la semplice complessità del rapporto tra fede e ragione. Con o senza superbia.