L'indagine Araba Fenice è durata due anni e ha fatto luce sui meccanismi con cui il clan guidato da Salvatore Giuliano controllava i rapporti con i coltivatori e i rivenditori. Un ruolo da intermediario che era imposto a tutti. A marzo diceva a MeridioNews: «Io non ho più mafiato»
Pachino, mercato ortofrutticolo in mano al boss Giuliano Il banchetto con i produttori per chiarire chi comandava
Salvatore Giuliano «mafiava» eccome. E lo faceva proprio da quelle serre dell’azienda agricola Fenice srl a cui, appena pochi mesi fa, faceva riferimento per affermare come ormai quello con la criminalità organizzate fosse un rapporto chiuso. Anche se per forze di polizia e magistrati l’uomo rappresentava ancora il capo dell’omonimo clan che storicamente comanda nel territorio compreso tra Pachino e Portopalo di Capo Passero. «Io ancora il capomafia di Pachino? Dovrebbero venire a dirmi in questi anni in cosa ho mafiato», diceva al telefono a MeridioNews Giuliano. Era fine marzo e poche ore prima qualcuno aveva dato a fuoco l’azienda agricola dei fratelli Sebastiano e Joseph Fortunato. Il primo da poco aveva presentato le dimissioni da presidente del consorzio di tutela del pomodorino Igp. Le parole di Giuliano, ufficialmente dipendente della ditta che il figlio Gabriele guidava con Simone Vizzini, avevano il chiaro obiettivo di allontanare da sé qualunque ipotesi di collegamento tra la propria persona e il rogo. «Per me è stato qualcuno che aveva rancore, tanto sapeva che in ogni caso se la sarebbero presa con noi», specificava.
A distanza di quattro mesi, nulla si sa ancora sui responsabili dell’atto intimidatorio, mentre a essere chiaro per la Direzione distrettuale antimafia di Catania è che Giuliano teneva sotto scacco l’intero settore ortofrutticolo, imponendo la propria presenza tanto ai produttori che ai rivenditori. Per farlo, avrebbe usato proprio la Fenice. La società è stata posta sotto sequestro questa mattina nell’ambito dell’operazione Araba Fenice che ha portato in carcere altre 18 persone. Tra gli arrestati ci sono lo stesso Simone Vizzini e il padre Giuseppe, così come i fratelli Giuseppe, Giovanni e Claudio Aprile. Le accuse rivolte dai magistrati vanno dall’associazione mafiosa alle estorsioni, ma riguardano anche il traffico di droga e la commissione di furti ad abitazioni e imprese del territorio.
La strategia di Giuliano – nei confronti del quale a inizio giugno il tribunale di Siracusa si era espresso rigettando la richiesta della misura di sorveglianza speciale – sarebbe stata quella di agire evitando azioni clamorose. Questo almeno nel periodo che va da maggio 2015 a maggio 2017, ovvero il periodo in cui si è concentrato il lavoro della squadra mobile di Siracusa. E questo perché per il capomafia non c’era bisogno di passare alle maniere forti quando bastava fare presente chi comandasse. In tal senso, Giuliano – la cui carriera criminale è costellata da numerose condanne e quasi vent’anni di carcere – il 22 ottobre 2015 organizza all’interno dell’azienda agricola un vero e proprio banchetto invitando tutti i produttori di Pachino e dintorni. L’occasione, secondo la tesi della procura, sarebbe servita a spiegare le regole da seguire per non avere problemi: su tutte il rispetto della provvigione del tre per cento per chiunque ambisse a vendere i propri prodotti, tramite l’intermediazione con la piccola e grande distribuzione assicurata dalla Fenice. Tra i partecipanti all’incontro potrebbero esserci state anche imprese che fanno parte del consorzio per la tutela del pomodorino. «Non è escluso, ma non possiamo confermarlo perché le riprese non hanno permesso di identificare tutte le persone presenti al banchetto», hanno chiosato gli investigatori nel corso della conferenza stampa che si è tenuta a Catania.
La capacità di Giuliano di intimorire gli altri imprenditori si sarebbe manifestata anche tramite il periodico passaggio davanti le serre dei produttori. A fargli compagnia in auto era quasi sempre Giuseppe Vizzini. I due sono tirati in ballo anche nell’inchiesta riguardante le minacce di morte al giornalista Paolo Borrometi. «Chiunque volesse scambiare merci nel mercato ortofrutticolo doveva passare dalla Fenice – commenta la capa della squadra mobile di Siracusa Rosalba Stramandino -. Lo stesso Giuliano specifica che non bisogna fare rumore ma comunque nel caso in cui si volesse scavalcare la Fenice vi sarebbero stati gesti di ritorsione, come lasciare i prodotti ortofrutticoli a terra».
Gli interessi del clan toccavano anche altri settori. È il caso dei parcheggi a pagamento lungo la costa. Tutti sarebbero stati sotto l’influenza dei Giuliano. Alcuni gestiti direttamente da uomini di fiducia, altri sottoposti a estorsione. E nel caso di auto lasciate fuori dai parcheggi privati, gli indagati non avrebbero esitato a sollecitare l’intervento delle forze dell’ordine affinché venissero multati i trasgressori. La forza del gruppo sarebbe stata tale da spingere i propri esponenti ad agire anche in territori controllati dal clan Trigila, con il quale da tempo esiste un accordo di non belligeranza. In queste circostanze, alla cosca attiva nel territorio di Noto veniva corrisposta una somma da parte dei Giuliano.
Per definire lo spesso criminale del capomafia e il rispetto trasversale che gli veniva riconosciuto – «purtroppo va riscontrata la poca collaborazione delle vittime nelle indagini», hanno specificato i magistrati – c’è infine il caso di Nunzio Scalisi, assistente capo della polizia arrestato con l’accusa di estorsione aggravata dal metodo mafioso. L’agente di polizia avrebbe chiesto a Giuliano di intercedere nei confronti dei proprietari dell’immobile in cui Scalisi viveva, colpevole di reclamare il pagamento di tre mensilità di affitto.
I nomi degli indagati:
1) AGOSTA Rosario, nato a Modica (RG) classe 1973, pregiudicato, libero;
2) APRILE Claudio, nato a Noto (SR) classe 1983, pregiudicato, libero;
3) APRILE Giovanni, nato a Noto (SR) classe 1978, pregiudicato, libero;
4) APRILE Giuseppe, nato ad Avola (SR) classe 1977, pregiudicato, libero;
5) ARANGIO Antonio, nato a Modica (RG) classe 1976, pregiudicato, libero;
6) ARANGIO Sergio, nato a Siracusa classe 1992, pregiudicato, libero;
7) BOSCO Salvatore, nato a Siracusa classe 1985, pregiudicato, libero;
8) CACCAMO Massimo, alias “u rossu”, pregiudicato, libero, classe 1974;
9) CANNARELLA Antonino, nato ad Avola (SR) classe 1995, pregiudicato, libero;
10) CANNAVO’ Salvatore, alias “Giovanni Cicala”, nato a Catania classe 1964, pregiudicato, libero;
11) CRISPINO Giuseppe, alias “u barberi”, nato a Noto (SR) classe 1978, pregiudicato, detenuto;
12) DI SALVO Giuseppe, nato ad Avola (SR) classe 1997, incensurato, libero;
13) GIULIANO Salvatore, nato a Pachino (SR) classe 1963, pregiudicato, libero;
14) GIULIANO Gabriele, nato a Pachino (SR) classe 1985, pregiudicato, libero;
15) GUGLIOTTA Vincenzo, nato ad Avola (SR) classe 1992, residente a Portopalo di Capo Passero (SR), pregiudicato, libero;
16) SALVO Salvatore Massimiliano, nato a Catania classe 1982, pregiudicato, detenuto;
17) SCALISI Nunzio Agatino Lorenzo, nato a Catania classe 1959, Assistente Capo della Polizia di Stato in servizio presso il Commissariato P.S. di Pachino (SR);
18) VIZZINI Giuseppe, alias “u marcuottu”, nato a Pachino (SR) classe 1964, pregiudicato, detenuto;
19) VIZZINI Simone, nato a Modica (RG) classe 1989, pregiudicato, detenuto