«Un errore giudiziario». Così l’avvocato Giuseppe Lipera definisce la condanna definitiva in ultimo grado di giudizio per omicidio preterintenzionale del suo cliente Antonino Speziale, giovane ultrà catanese condannato a otto anni di carcere per aver ucciso l’ispettore capo di polizia Filippo Raciti durante i tafferugli allo stadio Massimino dopo il derby Catania-Palermo del 2 febbraio 2007. Per questo, nonostante i giudici di Cassazione si siano già pronunciati, il legale ha deciso di presentare un’istanza di revisione del processo, già protocollata dalla Corte d’Appello di Messina. Tre gli elementi contestati che, secondo la difesa, potrebbero far riaprire il procedimento. Alcune contraddizioni tra due diverse sentenze, una denuncia per falsa testimonianza e una prova video di cui si parla in un’intercettazione, ma della quale si deve ancora accertare l’esistenza.
L’avvocato Lipera, che da sempre sostiene che la causa della morte dell’ispettore Raciti sia da attribuire al fuoco amico (l’impatto con un Discovery della polizia che lo avrebbe investito facendo retromarcia nel piazzale dello stadio Massimino), ha presentato gli atti dell’istanza stamattina in una conferenza stampa indetta nel suo studio alla presenza della squadra di legali che si è occupata del caso. Insieme a loro anche i genitori di Speziale, il padre Roberto e la mamma Rosa Lombardo. «Elementi che provano l’innocenza ce ne sono tantissimi», esordisce Lipera illustrando i punti cardine della richiesta di revisione. «Riteniamo, anzi siamo certi che la sentenza di condanna sia errata – continua – ma abbiamo bisogno che la nostra certezza, di cui siamo convinti da sei anni, sia acclarata da un giudice. In questo caso, secondo la legge, da quello della corte d’appello di Messina, la più vicina».
Alla base dell’istanza due elementi riscontrati dai difensori di Speziale. Che, «secondo l’articolo 630 del codice penale, potrebbero consentire la riapertura del processo», sottolinea Lipera. Il primo riguarda un’antinomia tra le sentenze per le condanne dei due capi d’imputazione a carico di Speziale: l’omicidio preterintenzionale e la resistenza aggravata a pubblico ufficiale. In cui, «emerge un contrasto tra due elementi nella ricostruzione storica dei fatti», afferma l’avvocato Claudia Branciforte. Il primo sulla traiettoria del sottolavello con cui Speziale avrebbe colpito a morte l’ispettore Filippo Raciti. Nella sentenza della condanna per resistenza si legge che «è stato lanciato in aria», mentre in quella per omicidio, si parla di «impatto tra l’oggetto e il corpo di Raciti», ricostruisce l’avvocato. Una divergenza che, secondo i legali, è illogica. Soprattutto su un «elemento fondamentale, che si evince anche dai numerosi filmati di quella sera e che potrebbe portare al proscioglimento di Speziale», afferma Branciforte. Inoltre, mostrando alla stampa il sottolavello, Lipera lo ha definito un oggetto in «lamiera, che di certo non può causare questo tipo di danno».
Il secondo punto di contrasto tra le due sentenze è individuato nel travisamento di Speziale durante i disordini al Massimino, uno dei capi d’imputazione per l’accusa di resistenza e nella cui sentenza viene descritto come il ragazzo «si sia coperto il volto con una felpa e un cappellino», illustra ancora l’avvocato Branciforte. Diversa la versione nel procedimento per omicidio, in cui la ricostruzione riporta che «la felpa sia scivolata dal viso del ragazzo, rendendolo riconoscibile», racconta il legale.
Sono queste incongruenze – «entrambi elementi cardine che potrebbero condurre ad una totale esclusione dell’attribuzione del fatti», sottolinea Lipera – i requisiti che hanno spinto la difesa a chiedere la revisione del processo. Perché «non possono coesistere due diverse ricostruzioni», afferma. Dati a cui si aggiunge anche un elemento di novità. Rosa Lombardo, madre di Antonino Speziale, ha infatti presentato denucia ai carabinieri di Catania contro Salvatore Lazzaro, l’agente che quella notte era alla guida del Discovery della polizia – che secondo la difesa avrebbe colpito involontariamente l’ispettore Raciti – per falsa testimonianza.
«In sede di processo – spiega l’avvocato Grazia Coco – l’autista avrebbe fornito testimonianze diverse rispetto a quelle rese nell’immediatezza del fatti». La difesa ha rimarcato come Lazzaro, subito dopo gli scontri, tra il 3 e il 5 febbraio 2007, abbia dichiarato come, a causa «del lancio di un fumogeno nel corso dei disordini, avesse fatto marcia indietro con il mezzo di cui era alla guida, sentendo un botto sul retro della macchina. Voltatosi, si è accorto della presenza di Raciti, con le mani sulla testa, e si è apprestato a soccorrerlo». Versione diversa, invece, quella resa durante il dibattimento, in cui «non parla più di botta, ma solo dello scoppio di un petardo, e in cui Lazzaro racconta di aver visto l’ispettore lontano una decina di metri dal Discovery». Una divergenza tra le testimonianze che avrebbe portato la madre di Speziale a sporgere denuncia.
In conferenza stampa, infine, l’avvocato Lipera cita altre stranezze nell’ambito del processo, ma parla anche di nuove prove. Ci sarebbe infatti una intercettazione registrata nel carcere di piazza Lanza, a Catania, datata 16 febbraio 2007. «Una microspia della casa circondariale ha ripreso un uomo che, a colloquio con i genitori, parlando d’altro fa riferimento alla morte di Filippo Raciti», spiega il legale. Dalla conversazione tra i tre emergono «il nome e il cognome di una persona che avrebbe ripreso in un video l’incidente del Discovery», afferma. Informazioni da approfondire, secondo la difesa, «sentendo queste persone, ma non ci hanno mai permesso di farlo». Del video, però, si deve ancora accertare l’esistenza e non fa parte del materiale messo agli atti. «Abbiamo invitato queste persone a comparire in studio per trovare questa prova, ma non si sono presentate. Lo faranno al processo», assicura Lipera.
Intanto i genitori di Antonino Speziale, che non si rassegnano alla condanna definitiva del figlio per omicidio, sperano nella revisione del processo. «Per scoprire la verità su come è morto il povero ispettore Raciti», dice il padre Roberto. «Qualcosa deve venire a galla e se qualcuno può dimostrare com’è andata veramente, che lo dica!».
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