Pietro Seggio rimarrà in carcere, almeno per il momento. Questa la decisione presa dal gip Filippo Serio questa mattina, dopo l’udienza preliminare. A chiedere la convalida del fermo, scattato venerdì, i pm Giulia Beox e Giovanni Antoci, sulla base delle intercettazioni registrate all’interno della sala d’attesa nei locali della squadra mobile, delle sit rese da tutti i soggetti che sono stati ascoltati, compreso l’indagato, che avrebbe fornito un falso alibi, smontato in breve tempo dagli investigatori. Di tutt’altro avviso la difesa, rappresentata dall’avvocato Giovanni Castronovo, che ha chiesto ovviamente la non convalida «per assenza della flagranza o quasi flagranza, nonché di non applicare alcuna misura cautelare o, in subordine, quella degli arresti domiciliari anche con il braccialetto elettronico, anche per le ragioni di salute precarie del Seggio».
L’uomo, infatti, proprio per via delle sue condizioni di salute precarie che non lo avrebbero reso, a detta del legale, abbastanza lucido e sereno per poter rispondere al giudice e alle parti, questa mattina aveva deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere. La difesa ha subito messo in discussione l’utilizzabilità delle prove su cui, di contro, punta invece l’accusa, vale a dire le intercettazioni, compreso quanto riferito dallo stesso indagato che, però, non era ancora in presenza del suo legale. «La prima impressione che ho ricavato dalla lettura delle indagini è che gli elementi investigativi acquisiti possono al più essere ritenuti mere ipotesi investigative, e non hanno una valenza probatoria tale da poter essere qualificati come gravi indizi di colpevolezza», osserva a MeridioNews l’avvocato Castronovo.
«Peraltro ciò che è davvero inconsistente è il movente dell’omicidio. E infatti – prosegue -, tenuto conto che la famiglia Seggio è benestante, ed è composta da persone perbene, dedite al lavoro e sconosciute agli organi di polizia, e avuto riguardo alla pregressa conoscenza tra la vittima e l’indagato (con il quale vi erano rapporti di amicizia familiare risalente nel tempo), pensare che, qualora vi fosse realmente, ritenere che un debito di 700 euro possa giustificare e legittimare un omicidio, mi pare un fatto davvero privo di logica. Dopo aver letto con attenzione gli atti investigativi e aver svolto delle indagini difensive avanzerò istanza di riesame, certo di poter chiarire la vicenda». Sembra, insomma, che la difesa punti il dito contro quella che sembra una rapida conclusione del caso, tirando in ballo proprio quel movente apparso risolutivo agli inquirenti.
Francesco Manzella è stato ucciso con un colpo alla tempia dopo le 23 di domenica 17 marzo in via Gaetano Costa, poco distante dal Pagliarelli. Il nome di Seggio, che gestisce una pizzeria poco distante dal luogo del delitto, è uscito fuori quasi subito. Dopo la testimonianza della vedova del 34enne e una prima analisi dei contatti presenti nel cellulare della vittima. Tra questi, ci sarebbe stato anche lo stesso Seggio, che avrebbe fornito un alibi piuttosto debole per quella sera. Avrebbe avuto un appuntamento con la sua amante, poi andato in fumo, ma la donna e alcuni suoi colleghi della pizzeria sembrerebbero smentirlo. Lo stesso Seggio, però, ha ammesso di aver sentito la vittima proprio il giorno della sua morte, perché voleva acquistare della cocaina. Si sarebbero incontrati intorno alle 22 vicino alla sua pizzeria.
Seggio avrebbe poi continuato la sua serata nel locale, dove sarebbe rimasto, secondo la sua ricostruzione, fino alle 23.30 circa. Andato all’appuntamento con l’amante, questa non si sarebbe presentata. Quindi sarebbe poi tornato in pizzeria, per andare di nuovo via un’ora dopo a bordo della sua Audi nera.
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