«Se non porta rispetto a mio papà gli sparo nella bocca». Queste parole, riferite ai contrasti con sua madre e sua sorella, descrivono in parte Sebastiano Mazzei. Capo vecchio stampo, con un fiuto imprenditoriale e una passione per il lusso. Scampato, nel 2009, a un agguato che doveva avvenire durante la festa di sant'Agata
Nuccio Mazzei, l’erede del boss Bagarella Preso l’ultimo latitante di Cosa nostra etnea
Quella di Nuccio Mazzei era una posizione di vertice. Era ricercato da aprile 2014, quando era riuscito a sfuggire al blitz Scarface della guardia di finanza di Catania, e oggi è stato catturato a Ragalna, dov’era nascosto — disarmato — insieme alla moglie. Un vero e proprio capo, con un rispetto viscerale e profondo per il padre, Santo ‘u Carcagnusu. Uno dei patriarchi di Cosa nostra catanese ormai sepolto da anni al regime del carcere duro. Mazzei padre viene fatto uomo d’onore nel 1992 per volere direttamente di Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina. In una intercettazione con un suo uomo, rientrata nell’ordinanza dell’operazione antimafia Ippocampo del luglio 2014 — la seconda in cui Nuccio Mazzei sfugge alla cattura, nel corso della latitanza che si è conclusa stanotte — , non usa mezzi termini nemmeno quando si riferisce ai contrasti con la madre e una sorella: «Se non porta rispetto a mio papà gli sparo nella bocca».
Mazzei, secondo quanto emerso dalle indagini, avrebbe creato attorno a sé una fitta rete di giovani fiancheggiatori trasformando il quartiere popolare di San Cristoforo nella sua roccaforte. Uomini fidati disposti a tutto, che riuscivano a godere anche di una certa autonomia. Nel 2011, Gaetano Pellegrino, coinvolto nell’inchiesta e consegnatosi agli inquirenti dopo alcune settimane di latitanza (fratello del consigliere comunale Pdl Riccardo, non indagato, ndr), rivolgendosi alla moglie di Nuccio Mazzei afferma: «Sono sempre vicino a lui, quello che lui mi dice io faccio. Se lui mi dice “Devi ammazzare a mia moglie Enza” io lo faccio». Una fedeltà incondizionata che da un lato metterebbe in risalto lo spessore criminale del boss e dall’altro la considerazione che nei suoi confronti nutrirebbero i suoi uomini.
Gli affari principali della cosca dei Mazzei non riguardavano soltanto lo spaccio di droga, ma sopratutto l’intestazione fittizia di beni con una attenzione particolare ai locali della movida catanese. Sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti sono finite alcune tra le principali discoteche della città tutte sequestrate nell’operazione antimafia Scarface. Nella lista incriminata il Bho poi rinominato in Moon, il 69 Lune e il lido Moon beach. Attività gestite grazie a diverse teste di legno, prestanome tutti riconducibili a Mazzei. Il boss aveva un particolare fiuto per gli affari: «Un milione di euro – spiegava mentre era intercettato – facendo una discoteca la fuori come al Banacher, in inverno fai il capannone con fuori tutto quello spiazzale». Non emergeva nessun timore nemmeno davanti all’eventualità dei sequestri, con relative vendite all’asta dei beni: «Dopo che ci sequestrano queste cose – gli replicava un suo uomo – poi li danno all’asta… Poi all’asta c’è quel fatto, si prendono, con due lire».
Tra le passioni del boss c’erano sopratutto gli orologi e le automobili. Vizi di lusso per una persona disoccupata. Nel 2011, c’è da ottenere uno sconto per l’acquisto di un Rolex Gmt in acciaio e oro del valore di quasi novemila euro «Quanto lo passano a noi?», chiede Mazzei. «È possibile spuntare uno sconto del 25 per cento», gli risponde l’interlocutore. Nessun problema nemmeno quando c’è da regalare una Fiat 500 Abarth da 21mila euro al figlio. Pronta da consegnare in permuta in questo caso c’era un’altra autovettura, più i soldi, quasi «diecimila euro». Tutto «senza alcun problema».
A puntare il dito contro Nuccio Mazzei sono anche diversi collaboratori di giustizia. L’ex reggente della famiglia Santapaola, Santo La Causa lo identifica come il reggente del gruppo a partire dall’ultima scarcerazione del 2004. Tra i due ci sarebbe stato anche un faccia a faccia nel 2009 per discutere della guerra di mafia in corso nel Comune pedemontano di Bronte ma anche «per avere informazioni sui contatti che lo stesso intratteneva con alcuni appartenenti alla polizia che gli fornivano notizie riservate sul mio conto». Gli affari dei Mazzei, sempre secondo i racconti di La Causa, riguarderebbero anche «il controllo del mercato del pesce e, come mi disse Benedetto Cocimano – coinvolto nell’operazione Ghost – controllavano anche la sala Bingo di piazza Alcalà».
Oggi arrestato ma nel 2009 obiettivo numero uno del clan avversario dei Cappello. Mazzei doveva essere ucciso mentre si trovava a bordo della sua auto nel cuore della festa di Sant’Agata. A raccontare i retroscena ai magistrati è stato il pentito Gaetano D’Aquino, incaricato dal sanguinario boss Sebastiano Lo Giudice, di commettere l’omicidio. «Era il 2009 – racconta – c’era la candelora dei macellai, si era fermata vicino al bar Lanzafame a fare la solita annacatella alle botteghe di là […] Acquavite guidava la moto e io ero seduto dietro, si appostò al finestrino, io praticamente non ho voluto sparare perché il vetro era appannato e non lo vedevo bene».
L’ultimo «senatore» del clan Mazzei – come ribattezzato in una intervista a MeridioNews dal capo centro della Dia Renato Panvino – arrestato prima dell’operazione di oggi, è stato Mario Pappalardo. L’uomo venne rintracciato insieme ad altre tre persone a Misterbianco dopo una latitanza durata alcune decine di giorni.