No Muos, cinquemila per un giorno di festa «Un futuro diverso a questa terra»

È stata una festa di popolo che ha travolto i dubbi e le preoccupazioni della vigilia, andando oltre le aspettative degli organizzatori. L’elicottero della polizia che ieri pomeriggio ha costantemente sorvolato il lungo serpentone che si dirigeva verso i cancelli della base americana di Niscemi, non ha potuto far altro che registrare il rumore delle pentole e delle padelle sbattute, lo stuolo di bandiere No Muos, i mille colori dei cinquemila siciliani venuti a protestare contro l’eco-mostro.

Sono giunti da ogni parte dell’isola grazie alla rete dei comitati che in questi mesi ha svolto un lavoro paziente di informazione e di controllo. A volte rischioso, come dimostrano i recenti avvisi di garanzia notificati a 17 attivisti. «Ma come? – avevano detto sconsolati i manifestanti – noi denunciamo gli abusi, documentiamo gli scempi e le infiltrazioni mafiose nel cantiere, e poi siamo noi a ricevere le denunce?». L’amarezza dei giorni scorsi ieri si è trasformata in sorriso. Una doppia gioia, cominciata a serpeggiare di prima mattina con l’annuncio del sequestro degli impianti dove sta sorgendo il Muos da parte della magistratura di Caltagirone. Un giro di sms per diffondere la notizia. Qualcuno stampa anche gli articoli comparsi sui siti di informazione e li lascia sul bancone del caffè Mokitalia, dove a metà mattinata cominciano a radunarsi gli attivisti.

«Ci hanno notificato l’avviso di fermarci a cento metri dai cancelli della base – spiega Alfonso Di Stefano, del comitato di Catania – ma stiamo trattando». I preparativi fervono. Sedute ai tavolini ci sono già le donne del movimento No dal Molin, giunte da Vicenza nel cuore della Sicilia, perché «i valori da difendere sono gli stessi, uguale il modo antidemocratico con cui gli americani impongono le loro basi in Italia». La prefettura ha vietato ai movimenti di estrema destra di partecipare al corteo. Ma si temono infiltrati provenienti da Catania. Alle due, Eduardo, Vincenzo, Andrea e gli altri salgono sulle macchine sventolando le bandiere No Muos. Ad aspettarli in contrada Ulmo, sede dell’assembramento, c’è già qualche centinaia di manifestanti. Ma in meno di mezz’ora il fiume di gente aumenta.

Sono venuti in pullman da Palagonia e da Catania, ma per la prima volta anche i cittadini di Niscemi hanno risposto all’appello. «Nella mia famiglia subiamo già le conseguenze delle onde elettromagnetiche delle antenne militari americane – racconta una mamma con un bambino piccolo in braccio – abbiamo avuto più di un caso di tumore. Sono qui perché vorrei dare un futuro diverso a mio figlio». «Abitiamo vicino alla base – spiega una ragazza insieme ai genitori pensionati – mio padre ha un pacemaker che periodicamente registra valori sballati, mentre nel mio computer non funziona il mouse e secondo il tecnico è un problema che deriva dalle frequenze della base».

In testa al corteo ci sono gli attivisti dei comitati, a seguire i cittadini, studenti, passeggini e donne con i tacchi e le unghie smaltate, quindi le istituzioni rappresentate dai sindaci di Palagonia, Mazzarino e Niscemi. In coda le formazioni politiche con la netta prevalenza delle bandiere rosse di Rifondazione Comunista e qualche vessillo nero anarchico. Per la questura sono 2500, una cifra sottostimata, considerando che il serpentone si estende per diversi chilometri. Tra i quattro e cinquemila è probabilmente il numero più verosimile. Al raduno di partenza ci sono anche Claudio Fava, Rita Borsellino e la candidata alla presidenza della Regione Giovanna Marano. «A questo territorio non servono vecchie aspirazioni di natura militare – sottolinea la candidata della sinistra – ma deve diventare un ponte di pace per il Mediterraneo».

Dopo un paio d’ore di cammino fiancheggiando la rete di protezione della base, il corteo giunge a una trentina di metri dai cancelli, sorvegliati da un doppio cordone di polizia. Qui è la volta dei rappresentanti dei comitati che martellano di «grazie» il gip di Caltagirone che ha ordinato il sequestro, e di «vergogna» i politici regionali, «la classe degli eletti che ancora una volta si è fatta sostituire dalla magistratura». I politici visti alla partenza ora non ci sono più. A parlare tra gli applausi, in piedi su un muretto a un metro dalla prima fila di poliziotti, è rimasto Ciro, dieci anni. Megafono alla mano, intrattiene gli attivisti per quasi mezz’ora. «Perché gli americani devono essere i padroni a casa nostra? Abito a Niscemi e vorrei decidere io cosa fare della mia terra».

Salvo Catalano

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