Ci sono diversi motivi per cui Totò Cuffaro è finito ai domiciliari. «C’è un rischio elevato che, in assenza di un adeguato presidio cautelare, Totò Cuffaro possa reiterare fattispecie di reato analoghe a quelle che gli vengono addebitate». È questo uno dei passaggi chiave delle quasi 300 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare con la quale […]
«Rischio elevato di nuove condotte illecite»: perché sono scattati i domiciliari per Totò Cuffaro
Ci sono diversi motivi per cui Totò Cuffaro è finito ai domiciliari. «C’è un rischio elevato che, in assenza di un adeguato presidio cautelare, Totò Cuffaro possa reiterare fattispecie di reato analoghe a quelle che gli vengono addebitate». È questo uno dei passaggi chiave delle quasi 300 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare con la quale la giudice per le indagini preliminari, Carmen Salustro, ha disposto gli arresti domiciliari per Totò Cuffaro. L’ex governatore, già condannato per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra, è finito indagato insieme ad altre 17 persone con l’accusa, a vario titolo, di associazione a delinquere, turbativa d’asta e corruzione. Nei suoi confronti i magistrati della procura di Palermo avevano chiesto che non si passasse dall’interrogatorio preventivo, evidenziando un presunto e attuale pericolo di fuga. Eccezione, quest’ultima, prevista nella riforma del ministro Carlo Nordio.
Il pericolo di «reiterazione criminosa»

Tra i motivi che sono stati determinanti per il via libera ai domiciliari per Cuffaro, secondo la giudice, c’è il pericolo di reiterazione criminosa. Nel caso di Cuffaro emergerebbe «dalle modalità con cui le condotte illecite sono state commesse – si legge nei documenti – e dalle considerazioni, più volte espresse dall’indagato nel corso dei dialoghi, circa l’opportunità di ricorrere a un metodo ben più efficace, sia pur illecito, per ottenere il raggiungimento degli scopi perseguiti». La condotta del politico viene definita spregiudicata.
I motivi dei domiciliari per Cuffaro
Da un lato, avrebbe sfruttato il suo potere politico; dall’altro avrebbe approfittato le conoscenze dirette nella pubblica amministrazione della Regione e tra i pubblici ufficiali ritenuti influenzabili grazie al «supporto politico garantito», per «assecondare le richieste avanzate dai privati. Il risultato finale sarebbe stato quello di «concludere accordi illeciti con grave compromissione dell’interesse pubblico». Tra gli esempi che vengono citati ci sono le conversazioni con i rappresentanti della Dusmann: gli indagati Marco Dammone e Mauro Marchese. A loro Cuffaro diceva di avere «la golden share» e «garantiva di avere un sicuro potere di influenza non solo a Siracusa, ma anche a Caltanissetta e a Enna, nonché nelle aziende ospedaliere palermitane».
Per questo motivo, secondo la giudice, la condotta di Cuffaro non può essere occasionale ritenendo che, anche in considerazione delle precedenti condanne «che connotano in termini di pericolosità la personalità, è elevato il rischio che, in assenza di un adeguato presidio cautelare, Cuffaro possa reiterare fattispecie di reato analoghe a quelle che gli vengono addebitate». Per la giudice, inoltre, non basterebbe il fatto che Cuffaro si sia dimesso da segretario nazionale della Nuova Democrazia Cristiana. L’ex governatore vanterebbe comunque «una fitta rete di conoscenze».
Il pericolo di fuga
Non basta, invece, il dialogo intercettato in cui Cuffaro prospettava la possibilità di trattenersi in Burundi, per concretizzare un suo attuale e concreto pericolo di fuga. La giudice, da questo punto di vista, non ha dubbi. «L’unico riferimento fatto da uno degli indagati (Cuffaro, ndr) rispetto a un soggiorno prolungato all’estero». Una ipotesi «priva di adeguato e serio ancoraggio a dati concreti», precisa nell’ordinanza. «Io sai che faccio – diceva l’ex governatore – invece di starci dieci giorni in Burundi… ci sto tre mesi. Non so se ho reso l’idea». In questo stralcio c’era invece, almeno per i pm, l’esplicita volontà da parte di Totò Cuffaro «di sottrarsi alla pretesa della giustizia».
Nella richiesta, i magistrati avevano evidenziato anche il fatto che gli indagati avessero «una grande e facile disponibilità di mezzi, con i quali si spostano frequentemente dentro e fuori il territorio nazionale». Anche da questo punto di vista non emergerebbero elementi concreti che possano rimandare a un pericolo di fuga. Il tutto si limiterebbe a una «mera presunzione» senza «una reale ed effettiva preparazione della fuga».
Il pericolo di inquinamento probatorio
La procura aveva evidenziato «un assai elevato e attuale pericolo di inquinamento probatorio per tutti gli indagati». I magistrati puntavano sul fatto che l’indagine non avesse ancora chiarito la presunta capacità d’infiltrazione delle rete di faccendieri e pubblici ufficiali. C’era poi «l’elevatissimo grado di prudenza osservata dagli indagati che non ha consentito l’acquisizione di documentazione amministrativa o fiscale dei rapporti corruttivi acclarati». Tuttavia per la giudice, pur specificando come alcuni indagati, abbiano fatto spesso ricorso ad accorgimenti per non essere intercettati, «non si rintracciano elementi o situazioni rilevatori di un concreto pericolo di inquinamento o pregiudizio sul piano probatorio».