Cronaca

È morto in carcere il boss Nuccio Ieni. L’avvocato: «Aveva gravi patologie, presenteremo un esposto»

Il boss 65enne Giacomo Maurizio Ieni, detto Iano o Nuccio u Mattuffu, ritenuto il reggente della cosca mafiosa catanese Pillera-Puntina, è morto ieri sera nel carcere campano di Secondigliano. Era malato e detenuto in attesa di un’udienza davanti al gup di Catania nel procedimento nato dall’operazione Consolazione nei confronti di 16 persone indagate, a vario titolo, per associazione di tipo mafioso, estorsione e usura. Era stato arrestato dalla polizia nel gennaio del 2022. La notizia del decesso è stata confermata da uno dei suoi legali, l’avvocato Salvatore Silvestro, del foro di Messina, che ha annunciato la presentazione di esposti sulla morte del suo assistito.

Il penalista, il 6 maggio scorso, aveva chiesto al gip la sostituzione della misura cautelare in carcere con una meno gravosa per il suo assistito sottolineando che «l’ulteriore repentino aggravamento del quadro clinico palesa in tutta la sua drammaticità l’impossibilità di fronteggiare le gravi patologie da cui l’imputato è affetto in ambiente carcerario, pur attrezzato di centro clinico». Il giudice per le indagini preliminari, condividendo il parere contrario della procura, ha rigettato la richiesta sei giorni fa. La salma, secondo quanto riferito dall’avvocato Silvestro, è stata già trasferita al Policlinico di Napoli

Nel 2009 Iano Ieni, poiché ritenuto fortemente depresso fu posto agli arresti domiciliari nonostante fosse detenuto in regime di 41 bis nel centro clinico del carcere di Parma. La decisione fu adotatta dalla terza sezione penale del tribunale di Catania per «gravi motivi di salute». Durante un’udienza, precedente alla decisione del Collegio, in uno stralcio del processo Atlantide, Ieni era scoppiato in lacrime davanti ai giudici sostenendo di «essere fortemente depresso e di non riuscire a stare in carcere». Il tribunale, nel provvedimento sottolineò che «l’affetto dei familiari» sarebbe stato per lui «la terapia migliore per riprendersi e guarire». La decisione fu «fortemente contestata» dalla procura di Catania che si disse «estremamente sorpresa e sgomenta per la pericolosità sociale del soggetto» visto che «nelle perizie redatte non ce n’era alcuna che stabilisse che il suo stato di salute fosse incompatibile con la detenzione in un centro medico, così come si trovava ristretto».

Redazione

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