Perché avanzare la richiesta di partecipare alla corsa per la carica di direttore artistico? «Per stimolare un dibattito», risponde lo scrittore a MeridioNews. Tre le linee guida che avrebbe seguito, se la scelta del cda non fosse caduta sul nome di Giovanni Anfuso: giovani, sperimentazione e impegno in città
Moni Ovadia e la candidatura allo Stabile «Sapevo che i giochi erano ancora aperti»
Attore, scrittore e drammaturgo, ma anche compositore e cantante. Moni Ovadia si definisce «uno scomodo». «Non sono uno yes man, non ho santi in paradiso ed esprimo giudici politici ed etici tranchant». Una serie di caratteristiche che lo ha spinto a presentare la candidatura a direttore artistico del teatro Stabile di Catania. «Tanto non mi danno mai gli incarichi – sorride – Mettono il mio nome nelle terne, si lavano la coscienza, poi scelgono altri». Allora perché avanzare la richiesta ai vertici dell’ente? «Per stimolare un dibattito – risponde lo scrittore – Invitare a guardare in maniera più spregiudicata alla cultura».
L’invio del suo curriculum, la scorsa settimana, secondo voci di corridoio avrebbe contribuito ad accelerare l’iter per la scelta di Giovanni Anfuso, nome caldeggiato dal sindaco Enzo Bianco, come successore di Giuseppe Dipasquale. «Io sapevo che il nuovo direttore era già stato nominato – racconta Ovadia – Tanto che già più di un mese fa avevo fatto i miei complimenti ad Anfuso». Poi, nei primi giorni della scorsa settimana, «ho saputo che i giochi erano ancora aperti». Da qui la decisione, quasi impulsiva, di proporsi. «Le candidature si mandano quando non c’è un nome stabilito – riflette – Se avessi saputo che Giovanni Anfuso era stato già scelto, perché avrei dovuto mettermi in competizione con lui?». Quello che Moni Ovadia non si aspettava era la reazione di una buona fetta dell’opinione pubblica catanese, quella che lunedì 29 si incontrerà per discutere del settore a Catania. «Si è scatenato un pandemonio – dice – E poi c’è stata l’accelerazione per la nomina», arrivata nella tarda serata di venerdì. E i componenti del consiglio d’amministrazione? «Non mi hanno scritto nemmeno una riga per dire: “Arrivederci Ovadia”».
Il drammaturgo, però, ci tiene a sgombrare il campo dalle polemiche. «Sarebbe di pessimo gusto e immotivato, almeno da parte mia». Ad avere parola, in questo delicato momento di transizione per l’ente catanese, dovrebbero essere altri: «Il pubblico, gli addetti ai lavori, non io. Non è nel mio stile, e poi io non ho bisogno di visibilità – afferma – So che lo Stabile è in sofferenza, è giusto che siano loro a chiedere ragione».
Direttore artistico del Regina Margherita di Caltanissetta, assieme al cantautore Mario Incudine – che guida il teatro Garibaldi di Enna – Ovadia sta portando avanti il progetto di un teatro Stabile della Sicilia centrale. «Il mio obiettivo è creare un’alleanza tra generazioni – dice – È l’unica soluzione per tiraci fuori dal pantano nel quale ci troviamo». Una soluzione che avrebbe adottato anche nel caso in cui fosse diventato direttore artistico dello Stabile. Assieme a una diversa visione della crisi economica. «Bisogna uscire dalla dinamica del “non ci sono soldi” – sbotta – Soldi in Italia ce ne sono, anche troppi. Peccato che vadano ai privilegiati».
Dal punto di vista della programmazione, «avrei proposto di guardare a tutte le forme di teatro possibili, non privilegiando nessuna in particolare – spiega – Per molti il teatro è solo prosa: per me questa è solo una delle forme». Diversi gli esempi che elenca: «Le coreografie di Pina Bausch, la narrazione alla Marco Paolini, il musical… È luogo di libertà e di anarchia, un sacrario laico aperto a tutti. Vogliamo confinarlo in una forma rigida? – chiede – Certamente no». Altro caposaldo della visione di Moni Ovadia è quello del gruppo. «Serve un teatro che guardi a forme nuove, inedite, ai collettivi numerosi – continua – Far lavorare scene e costumi, ma soprattutto i corpi. Le anime».
Ultimo elemento, ma non per ordine, è il rapporto con la società. «Il teatro deve continuamente porre domande, provocare questioni, essere presente nel tessuto della città – sostiene – La finzione del teatro permette di dire la verità più spietata», sottolinea con un sorriso. «Il teatro forma le persone, insegna responsabilità, fiducia, disciplina. Per me – conclude – significa impegno civile, sociale e morale».