Non accenna a placarsi la polemica sulla lettera di Vincenzo Santapaola, sottoposto al regime del 41 bis, pubblicata giovedì scorso sul giornale “La Sicilia”. Dalle indagini del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) si scopre, intanto, che la missiva era stata spedita più di un mese fa alla sorella del detenuto: il via libera alla comunicazione con l’esterno è stato dato dal Gip Laura Benanti del tribunale di Catania. Dopo aver subito alcune correzioni, la lettera viene inviata al giornale dai legali di Santapaola. Il resto, come si dice, è storia. E proprio a uno storico, uno dei massimi esperti del fenomeno mafioso, abbiamo chiesto di commentare quel che è successo.
Professor Salvatore Lupo, giovedì 9 ottobre è apparsa a pagina 37 del quotidiano “La Sicilia” una lettera che comincia con “ Sono Vincenzo Santapaola”. Come, secondo lei, un detenuto sottoposto al regime di 41 bis può scrivere una lettera a un quotidiano chiedendo sostegno all’opinione pubblica e implorando di essere considerato una “persona normale” a dispetto del suo cognome?
“Che un detenuto sottoposto a regime di carcere duro non possa assolutamente comunicare con l’esterno è una cosa risaputa…Ma, al di là di questo, è incredibile pensare che si possa pubblicare una lettera del genere. Vincenzo Santapaola è detenuto in regime di 41 bis perché è stato condannato per reati penali molto gravi. L’affermare di essere vittima di pregiudizi a causa del suo cognome e la sua pretesa di essere considerato una persona normale dall’opinione pubblica sono delle richieste bizzarre, assolutamente prive di senso.”
È normale che un quotidiano pubblichi richieste del genere senza la minima remora?
“Il direttore de “La Sicilia” potrebbe replicare che ha semplicemente ricevuto e pubblicato, nessuno lo può impedire. Quello che rende la vicenda così sconcertante è la totale mancanza di commento. È inaccettabile. Così si ha quasi l’impressione che il quotidiano convenga con le richieste di Santapaola jr, quando invece sarebbero bastate tre righe per prendere le distanze da tali affermazioni.”
Non le sembra di avvertire una certa indifferenza anche nei confronti del lettore “non formato” nell’affrontare una situazione così delicata?
“Parlare di indifferenza è essere benevoli, è quasi ridicolo. Non è indifferenza, ma una forma di rispetto che il giornale ha nei confronti della famiglia Santapaola. Io adesso non leggo molto spesso “La Sicilia”, ma quando i Santapaola erano ai vertici del potere della malavita organizzata ne ero un lettore abitudinario e so che non vi si leggevano mai i loro nomi.”
Non crede che una scelta giornalistica del genere possa in qualche modo offendere le famiglie delle vittime della mafia, e il senso comune di tutti i catanesi?
“Certamente. Offende la memoria delle vittime della mafia, offende il senso comune di tutti i catanesi, ma offende soprattutto l’etica di chi fa della comunicazione il proprio mestiere. È chiaro che tutti sanno chi è Vincenzo Santapaola, ma non è una ragione per tacere sulla sua storia, su suo padre e soprattutto sui reati per i quali è stato condannato. Un chiaro esempio di stile omertoso, che trasmette le informazioni solo in parte, che tende a non fare chiarezza.”
A chi si rivolge Santapaola nella sua lettera? Quali sono i suoi referenti diretti e quelli indiretti? Insomma, sembra che il figlio del boss voglia dire alla città: non crederete che esista ancora la mafia vero? Sono cose passate, da dimenticare…
“Anche Santapaola padre era avvezzo a scrivere lettere. È una tradizione di famiglia.
Quali siano i destinatari, se siano persone specifiche o sia un messaggio rivolto alla collettività, io questo non lo so. Se il suo scopo è quello di lanciare messaggi impliciti io non ne vedo tra le righe, e anche se ci fossero non sono riuscito a coglierli.”
In definitiva, professore, qual è il messaggio?
” La cosa che appare più ovvia è che Santapaola jr voglia “difendersi”, farsi passare per un perseguitato. Intendiamoci: appellarsi all’opinione pubblica chiedendo indulgenza è legittimo, è un diritto di qualunque imputato. Tutto sta all’uso che poi si fa di dichiarazioni del genere.”
* Salvatore Lupo è professore ordinario di Storia contemporanea all’Università di Palermo. Tra le sue numerose pubblicazioni ricordiamo: “Storia della mafia dalle origini ai giorni nostri” (Donzelli 1993, nuova ed. 2004); “Che cos’è la mafia. Sciascia e Andreotti, l’antimafia e la politica” (Donzelli, 2007).
Aggiornamento: Oggi sul giornale La Sicilia (nella pagina delle lettere, pag. 57) è stato pubblicato l’intervento di Luciano Granozzi apparso su Step1 venerdì scorso. Lo affianca un’altra lettera, quella degli avvocati di Santapaola dal titolo “Operato Corretto”. Nella missiva i difensori Francesco e Giuseppe Strano Tagliareni definiscono “inutile” la polemica esplosa a seguito della pubblicazione della missiva e ribadiscono non solo la correttezza del loro operato ma anche quella del giornale. Quelli che sbagliano sono coloro i quali si sono indignati: la lettera ha passato la censura del carcere ed è stata autorizzata dal giudice, ergo, “questo dimostra che nessuna prudenza ha assistito coloro i quali, a tutti i livelli, hanno ritenuto di criticare quanto accaduto, in nome di un sentimento antimafia, dietro il quale, a volte, sembra emergere soltanto la volontà di montare smodate e ingiustificate polemiche.
Riteniamo che l’opinione pubblica debba essere informata non soltanto dal punto di vista dell’accusa – sostengono Strano e Tagliareni – ma anche di quello, costituzionalmente garantito, della difesa. L’opinione opposta, ingiustificata sul piano legislativo, sembra confermare, invece il contenuto della lettera in questione”.
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