Quello che è stato il Cara più grande d'Europa oggi chiude i battenti. Per l'occasione, nel Calatino, arriva il ministro dell'Interno che ha «mantenuto la promessa». Tra inchieste, processi e casi di cronaca, restano le storie dei migranti ospiti in questi otto anni
Mineo, finisce l’era del «peggiore modello di accoglienza» Mentre Salvini festeggia resta da fare la conta dei danni
Fatta la festa al Cara. «Sarò lì per festeggiare l’ennesima promessa mantenuta. Dalle parole ai fatti». Il ministro dell’Interno Matteo Salvini oggi sarà nel Catanese per chiudere definitivamente i cancelli di quello che, per anni e fino a pochi mesi fa, è stato il centro di accoglienza per richiedenti asilo più grande d’Europa. La promessa era stata fatta dal leader del Carroccio l’estate scorsa e ribadita in occasione della chiusura del Cara di Castelnuovo di Porto, nel Lazio. A dicembre erano cominciati gli allontanamenti dei migranti, finiti la scorsa settimana. Si chiude l’era di quello che, a più riprese, è stato definito «uno dei peggiori modelli di accoglienza in Italia» che, nei suoi otto anni di vita è stato al centro di inchieste giudiziarie e gravi casi di cronaca. Una chiusura che, comunque, non è stata una passeggiata di salute. A farne le spese sono stati soprattutto i lavoratori. Con l’introduzione del nuovo appalto erano già andati in fumo oltre 150 posti di lavoro. La prospettiva della chiusura ha fatto il resto e a nulla sono valse le molte manifestazioni. Nell’ultimo periodo, anche i migranti hanno protestato: per il cambio del menù della mensa e per il taglio dei ticket di viaggio.
Il futuro. Fino al prossimo 31 agosto la struttura resterà presidiata dalle forze dell’ordine. Dall’1 settembre verrà riconsegnata alla legittima proprietaria, la Pizzarotti Spa. Resta da fare la conta dei danni. Stando a stime approssimative occorrerebbero almeno 10 milioni di euro per ripristinale le palazzine. Ma chi pagherà? L’azienda o il Viminale? In corso tra i due ci sarebbe un contenzioso e per fare una valutazione, nei mesi scorsi, ci sono stati due sopralluoghi. Il primo a dicembre dello scorso anno e l’altro a febbraio. Dopo il controllo degli alloggi sono state fatte anche delle relazioni. Una remise en forme delle strutture era comunque già contemplata. Stando a quanto riferiscono a MeridioNews persone che hanno avuto modo di continuare a orbitare attorno all’ex Residence degli Aranci, «i danni strutturali, in realtà, sono davvero pochissimi. Stiamo parlando di qualche infisso divelto. Ciò che è necessario è una riverniciatura di tutta la struttura, escluse le palazzine utilizzate a fini istituzionali che fungevano da uffici. Anche in considerazione del fatto che, spesso, gli alloggi venivano usati come magazzini, negozi e qualche volta anche garage». Nei mesi scorsi, intanto, dal Movimento cinque stelle, è arrivata la proposta di trasformare la struttura in un polo addestrativo e di formazione per le forze armate».
Il fronte catanese della Primavera araba. Nei primi mesi del 2011, con la Primavera araba, nelle coste siciliane gli sbarchi aumentano. L’allora ministro degli Interni del governo Berlusconi, Roberto Maroni, individua nell’ex Residence degli aranci la struttura in cui realizzare un centro di accoglienza. Un vero e proprio villaggio di palazzine e strutture ricreative e di servizio – realizzato dal gruppo Pizzarotti Spa – che, fino ad allora aveva ospitato i soldati americani. È il 2014 – al governo c’è Matteo Renzi e al Viminale Angelino Alfano – quando il Cara di Mineo fa numeri da record: 4.120 migranti ospitati a fronte di una capienza programmata di massimo 2.000 persone. Medici per i diritti umani (Medu) – associazione che da cinque anni svolge servizio di supporto psicologico e psichiatrico ai migranti – in un rapporto del 2015 segnala una serie di gravissime criticità all’interno del centro: sovraffollamento, isolamento della struttura, lunghi tempi di permanenza in attesa del riconoscimento della protezione internazionale, mancata iscrizione dei richiedenti asilo al servizio sanitario nazionale, fenomeni di degrado sociale.
Mezzo mondo. In mezzo a quel Mondo di mezzo, svelato dall’inchiesta Mafia Capitale, è finito anche il Cara di Mineo. «Noi non volevamo fare la gara perché è una finta gara… cioè che cazzo vai a fa’ na gara come quella quando la struttura è solo quella?». È Luca Odevaine a parlare del bando «blindato» per la gestione del centro. In pratica, la gara da 97 milioni di euro per gestire i servizi del Cara sarebbe stata truccata. Odevaine, accusato di turbativa d’asta e falso, ha patteggiato una condanna a sei mesi. La sua posizione era stata stralciata rispetto a quella delle altre 15 persone rinviate a giudizio, tra cui l’ex sottosegretario all’Agricoltura Giuseppe Castiglione – indagato in qualità di soggetto attuatore del centro. Imputati anche l’allora sindaca di Mineo Anna Aloisi; l’ex presidente del consorzio Sol. Calatino Paolo Ragusa; l’ex direttore del consorzio Calatino terra d’accoglienza Giovanni Ferrera egli ex vertici delle Ati interessate. Un’udienza del processo è prevista per oggi per sciogliere le riserve sull’ammissibilità delle prove documentali e la nomina dei periti per la trascrizione delle intercettazioni. Altre indagini sulla gestione del Cara hanno riguardato le presenze gonfiate all’interno del centro per ottenere fondi pubblici. Gli avvisi di garanzia arrivano a sei le persone tra cui l’allora direttore Sebastiano Maccarrone.
Cronaca nera. Il 30 agosto 2015 una coppia di anziani viene uccisa in casa a Palagonia. Principale sospettato del delitto è, sin da subito, un 18enne ivoriano ospite del centro di accoglienza Mamadou Kamara che viene accusato anche di violenza sessuale. Un caso che desta scalpore e porta il segretario della Lega Nord Matteo Salvini a fare visita al Cara, accolto da numerosi simpatizzanti molti dei quali di estrema destra. Per Karama, lo scorso febbraio, è arrivata la condanna all’ergastolo per duplice omicidio. La notte dell’1 gennaio 2018 dentro la struttura viene sgozzata una donna, la 26enne nigeriana Miracle Francis. L’autore del delitto, che non era ospite del Cara, è il marito 30enne. Una storia che riporta alla cronaca la questione sicurezza all’interno della struttura dove, nel 2013, Mulue Ghirmay (21enne) si era suicidato. Più di recente, lo scorso gennaio, un’inchiesta ha svelato un culto mafioso africano attivo tra il Centro e Catania. Una mafia quasi invisibile ma dai metodi terribilmente violenti, capace di controllare una fetta del mercato della droga e della prostituzione.
Quel che resta. La struttura si è svuotata: gli ospiti ufficiali sono stati trasferiti in altri centri, una parte degli invisibili è ospitati in una casa di campagna vicino a Caltagirone divenuta il centro di accoglienza temporaneo che il vescovo della città ha aperto per evitare che le persone finissero in strada. Sono 26 i migranti a cui la Caritas sta offrendo «oltre a un letto, anche tre pasti al giorno e la possibilità di iniziare un nuovo percorso di vita», riferiscono dai medici di Medu che continuano a seguire i casi più vulnerabili. Tra questi c’è, adesso, anche Adu. Il coordinatore del team Samuele Cavallone, il mediatore culturale Ahmed Diallo, lo psichiara Peppe Cannella e la psicoterapeuta Valentina Gulino lo hanno trovato «seduto su un sasso sul ciglio della strada fuori dal Cara, all’ombra di un albero e in mezzo ai rifiuti». Arrivato nella sua nuova casa «viene convinto a fare una doccia – raccontano da Medu – È da almeno quattro mesi che lo vediamo sempre con gli stessi vestiti e le stesse scarpe. Il suo giubbotto invernale è il suo marchio di fabbrica, la sua corazza che lo difende dal mondo. Vorrei potervi descrivere lo stupore nel vedere Adou uscire dal bagno sorridente, in camicia azzurra e pantaloni grigi. Non ho parole per descrivere la commozione di fronte a quella che ci è parsa la risurrezione di un uomo».