Il documentarista, autore di Mare chiuso, a Vittoria presenta il suo ultimo lavoro. E parla con MeridioNews dei fenomeni al centro dell'agenda politica dell'Occidente. «Con la figura del richiedente asilo, abbiamo nascosto la leva economica, quindi ciò che dovremmo realmente combattere: le diseguaglianze»
Migranti, l’Occidente e la mancanza di diritti globali Andrea Segre: «Così il prossimo muro sarà per noi»
Quasi nascosto dalla folta barba, Andrea Segre sfodera un sorriso fiducioso, segno di un volenteroso ottimismo. Si occupa da quasi vent’anni di solidarietà sociale, sociologia e cooperazione internazionale e, soprattutto, di cinema documentario. Sempre pienamente immerso nel tentativo di rappresentare fenomeni complessi come le migrazioni. È stato l’ospite principale del Vittoria Peace Film Fest, un festival di corti e lungometraggi a cui fa da sfondo la pace, giunto alla sua terza edizione, organizzato nella cittadina ragusana.
Il regista – già autore di Io sono Li e Mare chiuso – ha avuto l’opportunità di presentare il suo ultimo film, I sogni del lago salato, in cui raffronta il Kazakistan, dall’economia energetica in rapida via di sviluppo crescente, all’Italia degli anni Sessanta. Si concentra così sui fenomeni di urbanizzazione e creazione di poli industriali (basati sullo sfruttamento di fonti di energia non rinnovabili e inquinanti), in un quadro parallelo da Almati a Gela o Chioggia. Un esperimento basato sul found-footage, quindi ricco di filmati d’epoca, dell’Eni o dei genitori di Segre.
Quali sono le responsabilità occidentali nei confronti del fenomeno migratorio?
Esistono tre diverse responsabilità. Una prima, storica, che è quella coloniale, dietro cui è però facile nascondersi. Si riporta tutto al passato, per omettere il presente. Una seconda, economica e transnazionale: l’assenza di un welfare. Un taglio generale dei diritti sociali e dei servizi garantiti, sia all’interno dei confini nazionali, tra le varie etnie, che all’esterno, tra i vari paesi. Una terza responsabilità, politica, è fondata sulla sicurezza in contrapposizione alla libertà di movimento. Questo produce una spirale in cui il sistema emergenziale è alleato del sistema securitario.
A questo schema, la narrazione occidentale del migrante come terrorista è funzionale?
La visione occidentale è complessa: c’è dentro libertà di pensiero, visioni contrastanti dal modello comune, e non si può rimanere schiacciati su quel manicheismo “migrante-islamico-terrorista”. Credo che noi abbiamo dei decisi anticorpi intellettuali. Il problema è che mancano gli anticorpi materiali.
Quali, in concreto?
Ad esempio, per quanto riguarda Ragusa, penso agli ispettori del lavoro. Quanti sono e cosa fanno? A Marina di Acate abbiamo girato del materiale sulla condizione delle donne romene. Oltre le già pessime condizioni di lavoro, sono costrette a pagare per andare a fare la spesa o per mandare a scuola i loro figli. Per loro il sistema di protezione non esiste. Dove sono i diritti garantiti? Questo è lo schema su cui si basa l’economia comune: noi abbiamo merci e lavoratori dell’economia globale in circolazione, ma non diritti globali estesi senza distinzioni di nazionalità.
Complesso fare arte o cinema che racconti la realtà intrisa di rabbia e disperazione.
È difficile fare arte fuori dal circolo del commercio. Sarebbe più semplice, come a volte suggeriscono alcuni colleghi, girare delle marchette, per respirare e guadagnare, o accettare il denaro delle fondazioni benefiche. Non possiamo fermarci però, è necessaria la creazione di un pensiero critico in Europa. Sono fiducioso: sempre più spesso incontriamo alle nostre proiezioni giovani incuriositi. Il meccanismo della comunicazione di oggi ha creato un flusso che informa sugli eventi con rapidità. Questo però impone di fermarsi per il tempo necessario che serve a riflettere e approfondire, per comprendere la complessità dei fenomeni.
Anche i migranti rivendicano diritti sociali.
Con il sistema di accoglienza così strutturato, abbiamo costretto il migrante nella figura del richiedente asilo o del rifugiato. Ciò serve a nascondere la leva economica che muove il fenomeno: molti scappano da guerre, dittature, eventi drammatici, ma è noto che a muovere tutto è la speranza di migliorare la loro condizione economica. Abbiamo inventato queste forme non per gestire il fenomeno, ma per nascondere ciò che dovremmo realmente combattere, ovvero le diseguaglianze economiche. Comprendo persino il pensiero di pensionati minimi o di giovani disoccupati, che si vedono attaccati. Ma il loro nemico non deve essere il migrante, perché questo non sottrae loro nulla; si dovrebbe invece attaccare il patrimonio di potenze economiche e finanziarie senza nessun controllo, da loro trarre risorse.
Come interagire con i flussi migratori?
Già cinque anni fa chiedevamo l’istituzione di canali umanitari. Oggi è necessario attivare vie di comunicazione sicure e legali, per evitare le morti, per schiacciare il traffico di esseri umani, per generare meccanismi di ridistribuzione economica e abbattere le diseguaglianze.
Invece si costruiscono muri…
Si finanziano perché rientrano tra le misure di controllo e sicurezza. Tra l’altro, se non ci sbrighiamo, il prossimo muro costruito sarà per noi, perché chiuderanno l’accesso verso nord. Adesso succede sulla rotta balcanica, ma non è altro che arginare il fenomeno, nel tentativo di spostare la guerra ai poveri solo più in là, più lontano dai nostri confini.