Dal complotto sul Covid alla seconda guerra mondiale. Dalle invettive contro la giustizia all’esaltazione del nonnismo. È il memoriale personale presentato alla Corte di Cassazione da Alessandro Panella, l’ex caporal maggiore condannato a 22 anni di carcere in via definitiva per l’omicidio volontario aggravato di Emanuele Lele Scieri (raccontato nello speciale di MeridioNews). Il 26enne parà […]
Il memoriale dell’ex parà che ha ucciso Lele Scieri: 72 pagine di nonnismo, Patria e Covid
Dal complotto sul Covid alla seconda guerra mondiale. Dalle invettive contro la giustizia all’esaltazione del nonnismo. È il memoriale personale presentato alla Corte di Cassazione da Alessandro Panella, l’ex caporal maggiore condannato a 22 anni di carcere in via definitiva per l’omicidio volontario aggravato di Emanuele Lele Scieri (raccontato nello speciale di MeridioNews). Il 26enne parà siracusano in servizio militare ritrovato cadavere all’interno della caserma Gamerra di Pisa nell’agosto del 1999, tre giorni dopo la morte. «Se stavolta riescono a incastrarmi, mi sa che ci muoio in carcere», diceva Panella parlando con i familiari al telefono, senza sapere di essere intercettato. A nove anni e nove mesi è stato condannato anche Luigi Zabara. Un altro ex caporale che, nel 2017, aveva già dato prova delle sue doti autoriali pubblicando un libro dal titolo La coscienza di piombo.
Il memoriale prima della sentenza sull’omicidio di Lele Scieri
Il documento dell’ex militare è una lettera aperta lunga 72 pagine, indirizzata ai giudici di Cassazione. Ricco di maiuscole, grassetti e sottolineature per enfatizzare parole e concetti. «Se fino a oggi sono stato solo un fantasma in questo processo – ammette Panella – ora invece intendo gridare le mie ragioni». Con un memoriale consegnato poco prima della sentenza di condanna – arrivata a 25 anni dall’omicidio – che è entrato a far parte degli atti del processo. Un processo alle cui udienze Panella non ha mai partecipato come «segno di protesta» contro «anni di ingiustizia». Fin dalle prime righe, l’ex caporale prova a ribaltare il banco: passando spesso dal posto di vittima a quello dei giudici. Con l’obiettivo di «ristabilire la verità e la giustizia per un crimine che non ho commesso». Ma per il quale è stato ritenuto colpevole in tre gradi di giudizio.
Dall’invettiva contro le istituzioni al Coronavirus: il memoriale assolutorio
«Narcisisti, manipolatori e parassitici». Così Panella, nel suo memoriale, apostrofa i componenti della commissione parlamentare la cui relazione fece riaprire le indagini sull’omicidio di Lele Scieri. Per poi passare ai giudici di primo e secondo grado: «Canaglie camuffate da paladini di giustizia, guidati dai più bassi e meschini valori esistenziali». Senza dimenticare il magistrato che ha sostenuto l’accusa: «Solo in grado di distruggere come arte di vita». Niente di personale, per Panella, che se la prende con l’intero «sistema giudiziario e il contesto socioculturale italiano». Non in grado, scrive, «di giudicare né fare la morale a nessuno». E tra uno scatto d’orgoglio e l’altro – «Il popolo è sovrano, non un suddito delle Istituzioni» – c’è spazio anche per il negazionismo del Coronavirus. «Tutti considerati malati prima di essere provati sani, così come io sono stato considerato colpevole a meno che non provassi di essere innocente!», è il parallelismo.
Il paracadutista imbattibile e il volo per gli Usa il giorno dell’arresto
E nel lungo memoriale di Panella anche un certo tipo di storiografia trova posto. In particolare, il suo personale insegnamento della battaglia di El-Alamein, nel 1942: «Un paracadutista munito della propria innocenza e delle proprie virtù è imbattibile anche quando sta perdendo». Soprattutto se prende un volo per tornare negli Stati Uniti, dove ha vissuto per un periodo, con un biglietto Roma-Chicago per lo stesso giorno dell’arresto. E dopo aver confessato al padre di voler rinunciare alla cittadinanza italiana. Nella lunga lettera, però, la circostanza assume una nuova prospettiva per l’autore, che parla di una ferma volontà di tornare a vivere in Italia, «per arricchirla». «Per la Patria», insomma. E, senza falsa modestia, l’ex caporale cita delle mail scambiate «con organi istituzionali che dimostrano il mio genuino desiderio di contribuire al successo della nazione».
La via «d’onore» del nonnismo verso l’eccellenza
Immancabile, poi, una parte dedicata al clima di nonnismo e agli atteggiamenti dispotici di alcuni caporali al Centro addestramento paracadutismo. «Nei famigerati atti di nonnismo – ammette Panella – ci mettevo la faccia, li facevo (e subivo) convinto della loro validità». Che l’ex caporal maggiore ci tiene a spiegare, parlando di «un codice d’onore» portato avanti non da santi, lo ammette. Bensì da «caciaroni, cazzaroni, a tratti un po’ troppo esuberanti – spiega -. Bravi ragazzi, che non avevano purtroppo altro da fare per scaricare un alto livello di testosterone e una voglia all’azione». Nonostante i «danni gravi a qualcuno». Ma tra questi, per Panella, non c’è Alessandro Meucci, ex commilitone diventato uno dei testimoni chiave del processo. Definito «non degno» pure del nonnismo, dedicato piuttosto «a chi voleva eccellere». In un contesto quanto mai adatto, per l’autore, come la Folgore («sciacquarsi la bocca prima di pronunciarlo», consiglia Panella).
Il pensiero per la famiglia di Lele Scieri: il doppio omicidio

Un pensiero, infine, Panella lo dedica anche alla famiglia del ragazzo ucciso in caserma. Sebbene non come ci si aspetterebbe. «Sono stato portato ingiustamente a un livello di tortura e stress che va ben oltre il dolore provato dalla famiglia», sostiene nel memoriale l’ex caporale condannato proprio per l’omicidio di Lele Scieri. «Signora – scrive, rivolgendosi alla madre del giovane -, io e lei siamo più simili di quanto pensa. Lei ha perso un figlio. Io ho perso la mia vita sociale e impronta esistenziale, che sono come un figlio». Una prole dall’ego importante, quella di Panella. A differenza di Lele Scieri che, secondo l’ex caporale, «evidentemente aveva delle difficoltà o peculiarità caratteriali che lo hanno portato dove lo hanno portato. Ma – conclude – dire che fosse un fringuelletto che potesse essere ucciso senza capacità di risposta, non lo accetto».