Maxi-processo Dokss, chiesti 540 anni di carcere Alla sbarra la famiglia Santapaola a S. G. Galermo

Richieste di condanne per un totale di  540 anni di carcere. Multe per decine di migliaia di euro e 50 imputati alla sbarra. Sono i numeri del maxi-processo Dokss, nato dall’omonima operazione antimafia dei carabinieri del luglio 2017. Sotto i riflettori degli investigatori era finito il quartiere periferico etneo di San Giovanni Galermo. Storica roccaforte del traffico di droga della famiglia mafiosa di Cosa nostra dei Santapaola che da decenni, nella parte Nord di Catania, gestisce una tra le più prosperose piazze di spaccio della Sicilia orientale. Le condanne più alte sono state chieste per i presunti vertici: da 16 a 20 anni di reclusione. La decisione finale – il processo di primo grado si svolge con il rito abbreviato – verrà presa dal giudice per le indagini preliminari Fabio Maria Digiacomo. Ma non prima di avere ascoltato le arringhe dei difensori nelle sei udienze già spuntate in calendario.

Non venire più a casa perché ti ammazzo. Cornuto! 

A scegliere di non passare dal dibattimento sono stati i tre fratelli Mirenda. Per Vincenzo e Angelo i pubblici ministeri Andrea Bonomo e Alfio Gabriele Fragalà, hanno chiesto la condanna a 20 anni. L’altro, Arturo, rischia invece 13 anni e 4 mesi di prigione. L’inchiesta Dokss inizia a maggio 2013, quando le cimici degli investigatori intercettano un presunto tentativo di aggressione ai danni di Vittorio Benito Fiorenza. Dietro il piano ci sarebbero stati proprio i fratelli Arturo e Vincenzo Mirenda, desiderosi di vendicare un pestaggio subito all’Etna bar. Ma la vittima quel giorno non è presente a casa. Ad avvertirlo di non tornare a San Giovanni Galermo sono una serie di telefonate intercettate. C’è chi si limita a invitarlo a «sistemarsi» e chi, invece, spiega che i Mirenda si sarebbero aggirati per il quartiere armi in pugno: «Ce l’ha nelle mani», spiega una donna a Fiorenza. Gli intenti nei confronti dell’uomo non sarebbero stati nemmeno troppo nascosti. Perché in questo vorticoso giro di telefonate è lo stesso Arturo Mirenda a chiedergli di vedersi di presenza: «Sei un cornuto e sbirro se non vieni […] non venire più a casa perché ti ammazzo. Cornuto!».

Nella lunga inchiesta oltre a presunti episodi di estorsioni, rapine e spaccio di droga, c’è uno spaccato delle diatribe interne al gruppo mafioso. In particolare legate alla successione nel quartiere dopo la presunta reggenza del Puffo, all’anagrafe Salvatore Gurrieri, e di Salvatore Fiore, già finito in manette nel 2013 dopo il blitz antimafia Fiori bianchi 2. Nello scacchiere di Cosa nostra catanese nel gruppo di San Giovanni Galermo, che storicamente si muove come costola di quello più potente del Villaggio Sant’Agata, la corsa al vertice sarebbe stata una questione interna tra i fratelli Mirenda. Da un lato il più anziano, Arturo, designato erede naturale per anzianità, dall’altro Vincenzo. Dodici anni più giovane e con il dente profondamente avvelenato per il modo di fare del parente. Indigesti, per esempio, alcuni arresti del primo per evasione dagli arresti domiciliari e inosservanza degli obblighi della sorveglianza speciale.

Addirittura in un’occasione Arturo Mirenda si sarebbe fatto arrestare per avere una giustificazione per non pagare una partita di droga. Tanto che, nel 2013, il fratello Vincenzo avanza la possibilità di chiedere al presunto reggente dell’epoca Salvatore Gurrieri di chiedere l’estromissione dalla famiglia di Arturo. A raccogliere la confidenza, finita negli atti dell’inchiesta, è il suo autista di fiducia Antonio Scuto: «Non mi deve rivolgere neanche la parola. Con la cocaina è andato sempre indietro, a quest’ora poteva essere il capo a Catania». I fratelli in corsa per la reggenza finiscono nei verbali dei collaboratori di giustizia Davide Seminara e Giuseppe Scollo. Il primo, ex trafficante per la famiglia mafiosa dei Nizza di Librino, indica Arturo Mirenda, detto Turi sciara, come «uno storico appartenente al gruppo di San Giovanni Galermo». Tanto che sarebbe riuscito a sedere nei tavoli mafiosi che contano in città: «Veniva al Villaggio e a San Crtistoforo alle riunioni dei Santapaola», conclude. 

Le richieste di condanna:

Giosuè Michele Aiello, 10 anni
Daniele Buttafuoco, 16 anni e 6 mesi
Domenico Buttafuoco, 10 anni
Claudio Calabretta, 13 e 4 mesi
Nunzio Caltabino, 5 anni e mille euro di multa
Salvatore Caltabiano, 16 anni
Antonio Cosentino, 16 anni
Andrea Nicolò Corallo, 9 anni e 4 mesi
Gianluca Di Gaetano, 1 anno e 4 mesi e 200 euro di multa
Salvatore Fiore, 13 anni e 4 mesi
Benito Vittorio Fiorenza, 13 anni e 4 mesi
Salvatore Gurrieri, 20 anni
Giorgio Freni, 8 anni e 16mila euro di multa
Francesco Furnò, 10 anni
Vincenzo Gigantini, 20 anni
Armando Giuffrida, 10 anni
Mario Guglielmino, 13 anni e 4 mesi
Francesco Iuculano, 10 anni
Silvana Leotta, 14 anni e 4 mesi
Salvatore Lo Re, 10 anni
Antonio Mangano, 18 anni
Salvatore Mantarro, 16 anni
Domenico Marsala, 4 anni e 4 mesi e 4mila euro di multa
Angelo Mirenda, 20 anni
Arturo Mirenda, 13 anni e 4 mesi
Vincenzo Mirenda, 20 anni
Lucio Francesco Motta, 20 anni
Danilo Musumeci, 4 anni e 4mila euro di multa
Corin Musumeci, 8 anni e 20mila euro di multa
Desirée Musumeci, 10 anni
Domenico Musumeci, 20 anni
Alessandro Palermo, 20 anni
Carmelo Palermo, assoluzione
Salvatore Fabio Valentino Palermo, assoluzione
Salvatore Ponzo, 5 anni e 4 mesi e 5334 euro di multa
Francesco Privitera, 8 anni e 18mila euro di multa
Antonino Russo, 10 anni 
Mario Russo, 4 anni e 1000 euro di multa
Antonino Savoca, 5 anni e 4 mesi
Antonio Scuto, 11 anni e 8 mesi
Corrado Spataro, 10 anni
Nicola Strano, 11 anni e 8 mesi
Orazio Tenente, 4 anni e 2mila euro di multa
Massimo Vizzini, 16 anni
Claudio Aiello, 10 anni
Diego Aiello, 8 anni e 20mila euro di multa
Alfredo Bulla, 10 anni
Alessio La Manna, 8 anni e 20mila euro di multa
Antonino Giuffrida, 8 anni e 20mila euro di multa
Vincenzo Florio, assoluzione


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