Il fotografo vincitore per quattro volte del World press photo - catanese di nascita, ma romano d'adozione - tornerà nella sua città per un corso che analizzerà il rapporto tra gli spazi urbani e le persone. A CTzen racconta la sua lunga carriera e spiega come in Italia manchi «la cultura e la consapevolezza che la fotografia è un linguaggio artistico»
Massimo Siragusa, foto per passione Un workshop per l’artista pluripremiato
E’ il vincitore di quattro World press photo, gli oscar della fotografia, il curatore del workshop Città, Architettura, Relazioni che si terrà a Catania il primo fine settimana del mese di marzo e le cui iscrizioni scadono il prossimo 24 febbraio. Massimo Siragusa, classe ’58, è catanese di nascita, ma per la sua passione, la fotografia, ha lasciato la sua città alla volta di Milano per poi stabilirsi a Roma. Fotografo da 30 anni, ha imparato da autodidatta, «facendo la gavetta sul campo, leggendo molto e visitando tanti luoghi di mostre», come spiega lui stesso. Alla base però, ci sono un grande amore per l’arte e una certa predisposizione suffragata da numerosi premi vinti. Il primo, messo in palio dalla Kodak e per cui si è piazzato al secondo posto, arriva poco dopo la fine degli studi, nel 1987 e da lì non si è più fermato. Tra i primi a spronarlo a seguire questa strada, il collega di Bagheria Ferdinando Scianna, la cui carriera professionale è stata segnata dalla forte amicizia con Leonardo Sciascia.
Alla passione, con il passare del tempo, si aggiunge però, anche l’esperienza e nel 1997 Siragusa vince il suo primo World press photo awards con Bisogno di un miracolo. Si ripete poi nel 1999 con Il cerchio magico, nel 2008 con Leisure time e l’anno dopo con Fondo fucile. «Un premio di molto prestigio per cui c’è una concorrenza fortissima tra circa settemila fotografi e che indubbiamente mi ha fatto molto piacere ricevere», dice Siragusa. «La prima volta me lo hanno comunicato con una telefonata, poco prima delle notizia ufficiale – racconta – e ho lasciato tutto quello che stavo facendo per saltare dalla gioia».
Onorificenze, quelle riconosciute a livello internazionale dal professionista etneo, che fanno ancora più piacere alla luce dell’evoluzione che ha avuto nel fare fotografia. Ha cominciato con tanti reportage e collaborando come corrispondente per giornali stranieri come il New York Times, News week e Le Figaro, e tante sono le soddisfazioni che ha raccolto in questo periodo. «I risultati positivi fanno sempre piacere e ti danno una spinta in più per andare avanti», dice. «Nella vita è giusto dare spazio alle emozioni e spero di riceverne altri, ma sto anche con i piedi per terra», aggiunge.
Tra il 2000 e il 2001 la svolta. «La professione va avanti e ho cambiato attitudine rispetto al modo di fare le foto, nonché degli argomenti da fotografare», spiega Massimo Siragusa. Lascia dunque il reportage per dedicarsi all’analisi della struttura urbana fatta di spazi, artefatti e delle persone che dentro vi abitano. Un cambiamento molto positivo che porta Siragusa a collaborare con altri tipi di realtà e a vincere il terzo e il quarto World press photo. Premi tanto graditi quanto inaspettati proprio per la diversità del suo lavoro di adesso, tanto che è proprio «la terza volta che ho provato più gioia», afferma l’autore.
Accanto al lavoro con i magazine, infatti, ha sviluppato una sorta di attività parallela entrando anche a fare parte del mondo del collezionismo, delle gallerie d’arte e i corporate, ovvero lavori fotografici per aziende private come Lavazza, Versace, Piaggio e aeroporto di Roma per fare qualche esempio. «Non si tratta di pubblicità, ma di veri e proprio book o mostre per le aziende», dice Siragusa. Una scelta, la sua, dettata un po’ dalla voglia di cambiare e sperimentare nuovi approcci, dall’altra dalle necessità dell’evoluzione del ruolo del fotografo, legato soprattutto alla diffusione della tecnologia digitale. «Il fotografo oggi ha perso autorevolezza, e si sente dire quel disarmante “che ci vuole” da nasce solo dall’ignoranza, perché chi lo dice non è in grado di capire che dietro ci sono formazione e attitudine per cui non tutti sono bravi a fare tutto», spiega. «Accanto alla decadenza del foto-giornalismo, per cui potenzialmente ognuno di noi diventa un reporter grazie a semplici strumenti come il telefonino – continua – esistono però settori in cui questi strumenti non fanno concorrenza alla macchina fotografica e la professione mantiene sempre una certa autorevolezza».
Esiste comunque un problema di cultura dell’immagine, molto più diffusa all’estero che in Italia. Nel Bel Paese manca «la cultura e la consapevolezza che è un linguaggio artistico», secondo Massimo Siragusa. E nel tentativo di contribuire alla diffusione di questo tipo di approccio, dal 7 al 9 marzo, Siragusa sarà tutor del workshop organizzato da Officina Fotografica al Borghetto Europa. «Cercheremo di cogliere lo spirito della città di Catania con immagini che mettono in relazione palazzi, spazi e persone, e non con una serie di piccoli particolari di luoghi-simbolo come la pescheria o la via Etnea», spiega. Lo scopo, quindi, è quello di cercare le relazioni tra le cose nel giusto equilibrio tra queste, pur rispettando le attitudini di ognuno nel privilegiare persone o luoghi. Non esiste un metodo speciale secondo Siragusa che invece consiglia di non ridurre tutto a un problema di carattere tecnico-pratico. «E’ meglio cercare di scoprire la relazione e la giusta distanza fisica, visiva e mentale tra il fotografo, le strutture e le persone», conclude.