Un’area da 30mila metri quadrati – all’interno della quale si trova una cava di basalto lavico da 10mila metri quadri – è stata posta sotto sequestro oggi. All’interno c’erano tre impianti attivi (uno di frantumazione della roccia, uno per produrre calcestruzzo e un terzo per realizzare e insacchettare azolo) nonostante l’assenza di una specifica autorizzazione per le emissioni in atmosfera. Per giunta in pieno Parco dell’Etna, il cui vincolo paesaggistico è stato istituito nel 1991. Tutto questo accade nel Comune di Mascali, in contrada Nocille, vicino la frazione Montargano, dove i carabinieri del Noe hanno posto i sigilli al terreno di proprietà della Società inerti e calcestruzzi etnei, oltre che 26 mezzi tra escavatori, pale meccaniche, camion di grandi e medie dimensioni, carrelli elevatori e un’autobetoniera.
Un’azienda che, per altro, vale come minimo un milione di euro. La proprietaria è una 60enne mascalese di cui sono state diffuse soltanto le iniziali, M. C: si ritrova denunciata per un lungo elenco di reati ambientali e di altri connessi al settore minerario. All’arrivo sul posto dei militari, un escavatore e l’impianto di frantumazione si trovavano in funzione. Ma c’è di più. Ci sono delle lunghe ombre che il Noe intende diradare.
L’operazione di oggi è la terza dello stesso genere a partire da settembre, sempre a Mascali. Una coincidenza a dir poco singolare. Si può considerare normale che imprese di simili dimensioni operino per tutto questo tempo nella più completa assenza di verifiche o accertamenti? Per di più in un settore così delicato per la tutela dell’ambiente, e così remunerativo?
Una fonte di MeridioNews conferma che – per quanto il comunicato diffuso poco fa li definisca «accertamenti» – sono tuttora in corso indagini ad ampio spettro. E che, sebbene le tre aree sequestrate appartengano ad imprese e proprietari diversi, potrebbe esserci un denominatore comune, ed è proprio quello che il Nucleo operativo ecologico dei carabinieri sta cercando in questo momento. Un punto di contatto che potrebbe emergere da una situazione che viene definita «di illegalità diffusa», e che – almeno in questa fase – non riguarderebbe la criminalità organizzata.
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