Mafia, stabile abusivo che sta a cuore ad Accardo Il dirigente ex assessore a casa del presunto boss

C’è una villetta vicino al mare di Castellammare del Golfo che sta molto a cuore a Nicola Accardo, ritenuto il boss di Partanna e fedelissimo di Matteo Messina Denaro, arrestato la scorsa settimana nell’operazione Anno Zero. A casa sua non sarebbero arrivati soltanto i pizzini del boss latitante, ma anche richieste e chiamate per dirimere le più svariate controversie. E tra queste c’è anche quella di una donna, che ha un problema: sulla sua casa al mare, in via Plaia a Castellammare, pendono due ordini di demolizione perché è abusiva e lei vuole trovare un modo per evitare che le ruspe entrino in azione. La giovane di Alcamo si rivolge ad Accardo che attiva la sua rete di contatti. In questo caso la persona a cui bussare è l’ingegnere Angelo Mistretta (non indagato in questa inchiesta), partennese 61enne, alle spalle un lunghissimo curriculum politico e professionale, con incarichi da dirigente in diversi Comuni, alla Provincia di Trapani (di cui è stato anche assessore e per tre volte consigliere) e ruoli all’interno dell’assessorato regionale al Territorio durante la prima giunta Cuffaro, a inizio anni 2000. Nonché progettista e direttore dei lavori in moltissimi appalti pubblici in giro per la Sicilia, spesso su incarico della Regione. 

«Le indagini – si legge nell’ordinanza dell’operazione Anno Zero – dimostravano che Nicola Accardo, per risolvere il problema prospettatogli, si rivolgeva a un funzionario pubblico compiacente, l’ingegnere Angelo Mistretta, il quale, nel corso di un incontro presso l’abitazione di Accardo, prospettava alla donna – figlia del proprietario dell’immobile – le diverse soluzioni per impedire la demolizione». Accardo chiama Mistretta la sera del 10 febbraio del 2016 e lo convoca a casa sua, per mostrargli un documento. L’incontro avviene due giorni dopo, il 12 febbraio. Attorno allo stesso tavolo, nell’abitazione del presunto boss di Partanna, siedono l’ingegnere e altre tre persone, tra cui proprio la figlia del proprietario. 

«Sì, sono andato a casa di Nicola Accardo perché mi ha chiesto un consiglio. Lo conosco da sempre perché sono anche io di Partanna, come lui – conferma l’ingegnere Mistretta a MeridioNews – e perché suo padre era cugino di primo grado di mio suocero. Quindi ci diamo del tu, ogni tanto lui è venuto a casa mia e io sono andato a casa sua. Non siamo amici, ma se viene gli apro la porta e se mi chiede un parere glielo do». Oggi Mistretta è il responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Castellammare, sul cui territorio si trova l’immobile oggetto dell’interessamento di Accardo. Struttura che è ancora in piedi. «Ma al momento di quell’incontro – precisa l’ingegnere – io lavoravo al Comune di Calatafimi-Segesta, quindi non avevo nessun conflitto d’interesse. Lavoro a Castellammare dal 1 luglio del 2017 e sfido chiunque a trovare un mio atto che ha rallentato l’iter di demolizione».

Secondo quanto ricostruito dalla squadra mobile di Palermo, che ha condotto le indagini su questa vicenda, durante l’incontro Mistretta avrebbe suggerito che l’unico modo per salvare la casa sarebbe stato quello di dimostrarne la pubblica utilità, e avrebbe promesso ai suoi interlocutori di «intercedere» con una persona con cui era in ottimi rapporti: l’architetto Bertolino, in quel momento responsabile del settore Abusivismo edilizio al Comune di Castellammare. Mistretta e Bertolino si conoscono per aver lavorato, nello stesso periodo, alla Provincia di Trapani.

Nella ricostruzione degli eventi, l’ordinanza si ferma qua, salvo registrare, diversi mesi dopo, nel dicembre del 2016, una telefonata in cui la figlia del proprietario dell’immobile chiama Accardo, lasciandogli intendere che «la vicenda era andata a buon fine» e «manifestando la sua intenzione – sottolineano gli investigatori – di fare un regalo per Natale ad Angelo Mistretta».

«Non ho mai ricevuto nulla da questa persona – ribatte seccamente il diretto interessato – l’ho incontrata due volte ma non ricordo neanche com’è fatta». Sulla casa di via Plaia pende un ordine di demolizione dal 2006. Nulla si sarebbe mosso fino al 2017. Mistretta si insedia a capo dell’ufficio tecnico del Comune di Castellammare nel luglio di quell’anno. Due cose succedono nei mesi successivi e vengono annotate dalla polizia: ad agosto lo stesso Mistretta nega al proprietario di quell’immobile un permesso di costruire in sanatoria (presentato otto anni prima), e tre mesi dopo, a novembre, l’uomo presenta un ricorso al Tar. «Il mio interessamento con l’architetto Bertolino? Se mi chiedono di informarmi su una pratica, io mi muovo e lui in quel momento era il responsabile. Il fatto che ci fosse un’ordinanza di demolizione non significa che io non potessi parlare di quell’immobile. Oggi non sa quante persone, colpite da ordinanza di demolizione, vengono da me in ufficio a Castelammare per capire se, a norma di legge, si può fare ancora qualcosa per evitare l’abbattimento. È normale. Noi stiamo lavorando per abbattere gli immobili che vanno demoliti e salvare quelli che si possono salvare». 

La richiesta, in questo caso, però non arriva da un cittadino qualunque ma da Accardo, da sempre legato ai Messina Denaro. Contro di lui e la sua famiglia hanno testimoniato Piera Aiello e Rita Atria. Suo padre e suo zio sono stati uccisi nella guerra di mafia tra anni ’80 e ’90 e l’allora giovane Nicola è stato costretto a sparire in Venezuela, dove avrebbe continuato a gestire gli affari illeciti di Matteo Messina Denaro. Assolto nel ’94 dall’accusa di associazione mafiosa, secondo gli inquirenti è rimasto il riferimento di Cosa Nostra a Partanna e, adesso, è tornato in carcere. «Conosco bene la storia della famiglia Accardo – replica l’ingegnere Mistretta – ma nella mia vita ho preso le distanze da quel mondo. Nicola Accardo un boss? Io questo non lo sapevo, non l’ho letto da nessuna parte. Io non andavo a casa di un boss, ma di una persona che mi ha chiesto un consiglio. Rispondere – conclude – era mio dovere professionale».

Salvo Catalano

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