Accardo, il legame lungo 25 anni con Messina Denaro Dai polli in Venezuela all’Expo di Milano, fino ai pizzini

«Matteo Messina Denaro diceva sempre, vantandosi, di avere vinto quella guerra». Si può partire dalle parole del pentito marsalese Antonino Patti per capire il legame tra il latitante che sfugge allo Stato da 25 anni e Nicola Accardo, ritenuto il numero uno di Cosa Nostra a Partanna. Un rapporto cementificato proprio tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, quando gli Accardo, sostenuti dai Messina Denaro, prevalgono nella sanguinaria guerra di mafia contro i rivali Ingoglia. Nicola Accardo allora è il più giovane della famiglia a veder cadere, sotto i colpi di arma da fuoco, il padre Francesco e lo zio Stefano. Lui stesso viene arrestato nel 1992 con l’accusa di associazione mafiosa (e poi assolto due anni dopo): a raccontare il suo ruolo, già di primo piano nelle attività criminali della famiglia, è anche la testimone di giustizia Piera Aiello. E a parlare degli Accardo è anche Rita Atria, giovanissime testimone di giustizia originaria proprio di Partanna. Solo dopo 24 anni Nicola Accardo torna in carcere con l’accusa di essere un capomafia, a cui fanno riferimento gli altri big di Cosa Nostra trapanese e non solo. Anello importante nella trasmissione dei pizzini del suo amico Matteo. Una posizione di vertice costruita intessendo relazioni e affari: dal Venezuela all’Expo di Milano, rimanendo arbitro indiscusso di quanto accade sul territorio di sua competenza. È questo il quadro che emerge dall’inchiesta Anno Zero, l’ennesimo colpo alla rete di protezione del super latitante di Castelvetrano. 

Gli inquirenti trovano le tracce più evidenti dell’invisibile primula rossa proprio a casa di Accardo. Quest’ultimo viene intercettato mentre parla con Antonino Triolo, pure lui arrestato la scorsa settimana; i due leggono alcuni pizzini che, secondo quanto ricostruito dagli investigatori, arrivano direttamente da Messina Denaro. «Dice che era in Calabria ed è tornato», afferma Accardo. È il 3 settembre del 2016, i carabinieri sentono distruggere, come vuole la ferrea regola imposta dallo stesso latitante, il pizzino che è stato letto. Altri, non aperti, sono destinati invece a essere smistati. Le comunicazioni tra il capomafia di Partanna e quelli di Castelvetrano, in particolare con il cognato di Matteo Messina Denaro Gaspare Como, sarebbero garantite proprio da Triolo. Como, insieme alla moglie Bice Messina Denaro e alle altre due sorelle del latitante Rosalia e Giovanna, visita spesso l’agenzia di disbrigo pratiche auto di Triolo. E immediatamente dopo gli incontri, gli investigatori registrano contatti telefonici tra lo stesso Triolo e Accardo.

A testimoniare il ruolo chiave di quest’ultimo nel dirimere le controversie e dare consigli è il via vai ripreso nella sua abitazione. Ad Accardo viene chiesto di intervenire nel contrasto nato tra due pastori per uno sconfinamento che rischia di trasformarsi in uno scontro tra famiglie; per la demolizione di un immobile abusivo a Castellammare del Golfo che riesce a evitare grazie alle influenti amicizie; per il saldo di un debito su una fornitura di pesce a un ristorante di Partanna. A lui si rivolge anche il titolare di un bar di Castelvetrano contro cui una dipendente ha istruito una causa di lavoro, ma in questo caso il presunto capomafia decide di non intervenire considerando ingiusta la richiesta dell’uomo. Accardo amministra la giustizia di Cosa Nostra in maniera parallela a quella dello Stato. In molti casi decide e passa all’azione, in altri aspetta. Avviene così ad esempio nel novembre del 2016: di fronte al tentativo di espansione delle famiglie di Mazara e Campobello di Mazara a danno di mafiosi di Castelvetrano, Accardo prende tempo: «Dobbiamo aspettare che si sblocca qualche cosa, aspettare qualche cosa…per tutti!». Una frase che, secondo gli inquirenti, nasconde l’attesa per un ordine che deve arrivare direttamente da Matteo Messina Denaro. 

Al superlatitante lo legherebbe un rapporto consolidato di amicizia. Quando, a inizio anni ’90 si rifugia in Venezuela per evitare di fare la fine del padre e dello zio, Accardo avrebbe continuato a rappresentare gli interessi di Messina Denaro oltreoceano, gestendo il traffico di stupefacenti, ma anche differenziando gli investimenti. Il pentito Franco Safina racconta dell’acquisto di un’azienda di polli nel Paese sudamericano, grazie a cinque milioni di dollari fatti arrivare direttamente da Matteo Messina Denaro. E di questa attività imprenditoriale si trova riscontro anche in una lettera inviata dai cugini Accardo al superlatitante, in quel caso indicato con lo pseudonimo di «Samuele». La stessa missiva in cui Nicola Accardo ribadisce la sua disponibilità all’amico Matteo: «Se c’è bisogno di qualche passaporto, si può avere subito, bastano le fotografie».

Saldo sarebbe il legame anche con Mimmo Scimonelli, imprenditore mafioso, condannato all’ergastolo per aver fatto uccidere Salvatore Lombardo, colpevole di aver rubato un carico di merce destinato al suo supermercato Despar di Partanna. I due si incontrano anche a Milano nella primavera del 2015, dove Accardo si reca più volte per i problemi sanitari della sorella. Ma non solo. Il capoluogo lombardo è anche il luogo in cui si sviluppa il rapporto con Giuseppe Nastasi, l’imprenditore di Castelvetrano condannato per aver portato Cosa Nostra all’Expo del 2015. Nelle carte dell’indagine della Procura di Milano torna proprio il nome di Accardo. Alla sua famiglia infatti sarebbero stati diretti parte dei fondi ricavati dalla costruzione dei padiglioni per l’esposizione universale. Quando Accardo va a Milano, Nastasi lo aiuta per il trasferimento dall’aeroporto, gli trova e gli paga l’albergo, gli indica ristoranti. Disponibilità ricambiata quando l’imprenditore torna in Sicilia per le feste. Favori e cortesie che per gli inquirenti non si giustificano solo con un rapporto di amicizia. Ma anche di affari. Ed è ricco il business che Nastasi avrebbe gestito grazie all’Expo di Milano. L’imprenditore è accusato di essere il reale gestore del consorzio di cooperative Dominus scarl, che all’esposizione universale ha realizzato i padiglioni di Francia, Guinea, Qatar e Birra Poretti, l’auditorium e il palazzo dei congressi. Appalti che in tre anni, dal 2013 al 2015, hanno permesso di ricavare 18 milioni di euro, pagati dalla società Nolostand, una delle controllate da Fiera Milano.


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