«La Sicilia potrebbe vivere di solo turismo», recita un vecchio adagio, ripetuto spesso a mo’ di mantra un po’ da tutti, politici inclusi. Figurarsi se non lo pensa anche la mafia. E dall’ultima indagine che ha portato al blitz contro il sodalizio mafioso Cappello-Cintorino, quello che potrebbe essere solo un facile sospetto appare come solida […]
L’ombra violenta dei clan sul business del turismo: «Puoi dire che ti ho picchiato, l’ho fatto di cuore»
«La Sicilia potrebbe vivere di solo turismo», recita un vecchio adagio, ripetuto spesso a mo’ di mantra un po’ da tutti, politici inclusi. Figurarsi se non lo pensa anche la mafia. E dall’ultima indagine che ha portato al blitz contro il sodalizio mafioso Cappello-Cintorino, quello che potrebbe essere solo un facile sospetto appare come solida realtà. La mafia, dunque, pensa di poter vivere di solo turismo – e di traffico di droga, ovviamente – ma a modo suo, attraverso il vecchio e consolidato racket delle estorsioni. Pizzo condito da intimidazioni violente, perpetrate da una vera e propria squadra di esattori. Tra i protagonisti principali del giro ci sarebbe stato Riccardo Pedicone, attivo sul fronte costiero di Giardini Naxos, nel Messinese, ma in stretto contatto con la compagine catanese dei Cappello. Lui, secondo gli inquirenti, era «attratto dal giro di affari suscettibile di svilupparsi attorno al polo turistico del comprensorio e, agevolato dal personale trasferimento di residenza a Giardini Naxos, organizzava un gruppo di persone a lui più vicine che coordinava nella gestione delle estorsioni e di altre illecite attività».
Dieci, talvolta anche quindici giovani, con la collaborazione di Diego Mavilla, genero di Mariano Spinella, ritenuto al vertice del sodalizio Cappello-Cintorino, e di Giuseppe Raneri, anche loro indagati, per ingrandire sempre di più il raggio d’azione. «Qua non ci sono andato mai! – diceva Pedicone a Raneri durante una conversazione intercettata – Io ho quei dieci-quindici ragazzi, amici di più… quello che ti ho detto. Qua… te la devi sapere aggiustare». Parole a cui Pedicone risponde mettendo in guardia il sodale, ricordandogli che per lui contavano solo «trasparenza e onestà» da parte dei suoi collaboratori. Pedicone che, a quanto pare, non era particolarmente apprezzato per le sue doti reclutative da parte dell’altro presunto socio, Mavilla, che in un’altra conversazione lo ammoniva: «Compare, non ce l’hai lo staff per fare quello che uno deve fare. Perché buono non ce n’è nemmeno uno di quelli che conosco io. Attenzione, eh? Poi non conosco i meriti degli altri. Qua che si possano mettere accanto a te per fare qualcosa, per creare qualcosa, per me non ce n’è neanche uno. Il migliore è cunsumatu».
E, d’altra parte, una sostanziosa fetta del territorio sotto l’influenza criminale dei Cappello-Cintorino è costituito dai paesi della costiera ionica, meta ambitissima per il turismo. Al vaglio degli inquirenti, giusto per citare un esempio, ci sono anche delle possibili richieste di pizzo per i diportisti che scelgono di ormeggiare la propria barca nel porto turistico di Giardini Naxos. Ma un episodio più di tutti rende l’idea dei metodi usati dai clan, quello dell’incontro tra Mavilla e il proprietario di un’imbarcazione utilizzata a fini turistici, noleggiata ai villeggianti per raggiungere Isolabella, ambitissima meta nel mare di Taormina. Un’attività per cui Cosa nostra chiedeva una lauta percentuale dei ricavi. Alla ritrosia dell’uomo davanti alla richiesta del pizzo, Raneri risponde in maniera violenta, schiaffeggiandolo. «Ascolta! Tu mi devi fare parlare a me, perché tu non sei nessuno – intima Raneri – perché sennò ti do botte, va bene? E non ti permettere più a rispondermi in quel modo! Che ti sto aspettando qua, perché io ti prendo a schiaffi, a te e a quelli come te!». A questo punto, nelle intercettazioni, si sente chiaro il rumore degli schiaffi. «Ma con chi cazzo stai parlando? Che guardi? Ascolta, statti lì. Io ci ho messo la faccia e li stanno cercando a me i soldi. Tu avevi un impegno con delle persone che sono in galera».
Il riferimento, intervallato da altri schiaffi, sarebbe ai protagonisti dell’operazione Isolabella, scattata nel 2019, che aveva colpito proprio l’attività estorsiva di Cosa nostra nei confronti di chi affitta le barche per l’isolotto. «Tu ora prendi i soldi e glieli devi portare per come eravate d’accordo con quello là. A me non interessa. Ora puoi andare pure dai carabinieri e gli puoi dire che ti ho picchiato, perché l’ho fatto di cuore». E ancora «Ascolta, io ti ho detto mille (euro ndr), ti conviene… io non mi spavento della galera. Hai capito?». Altro episodio è anche quello che riguarda la minaccia di danneggiamenti ai beni e ai familiari del titolare di un’agenzia di viaggi di Calatabiano, nel Catanese, da parte dei Cintorino, sempre per questioni di pizzo. In quel caso il piano, tuttavia, non andò in porto per una serie di intoppi. Tutte dimostrazioni del fatto che il turismo è un affare da tempo fiutato dalle organizzazioni criminali, che ne sfruttano i proventi anche per il mantenimento degli affiliati in carcere.