Alcune tra le aziende che producono vini ai piedi dell’Etna erano diventate il bancomat principale del clan mafioso dei Brunetto, articolazione della famiglia di Cosa nostra catanese dei Santapaola-Ercolano. Al centro dell’indagine della compagnia dei carabinieri di Randazzo, su delega della procura di Catania, denominata Santabarbara, sono finiti numerosi episodi di estorsioni, imposizioni della guardiania e soprattutto ripercussioni come il taglio di intere filiere di vitigni. Le cifre, come spiegato da Alessandro Casarsa, comandante della compagnia di Catania, variavano da «mille a dodicimila euro all’anno, più cinquecento mensili per il servizio di guardiania». I proventi sarebbero finiti all’interno di una cassa comune e poi reinvestiti nel traffico e nello spaccio di sostanze stupefacenti.
In manette sono finite 14 persone, per altre due invece sono stati rispettivamente disposti gli arresti domiciliari e l’obbligo di firma. Al vertice del gruppo che operava nel territorio dei Comuni di Castiglione di Sicilia, Mojo Alcantara, Randazzo e Giarre, ci sarebbe stato Vincenzo Lomonaco. Il presunto boss avrebbe avuto un filo diretto con Pietro Oliveri, ritenuto dagli inquirenti il reggente del clan dopo la morte dell’omonimo capomafia Paolo Brunetto, deceduto dopo una lunga malattia nel giugno 2013. L’input per le indagini è stata l’interruzione di un summit il 4 aprile 2013 a Giarre che avrebbe potuto portare a una escalation criminale per l’affermazione dell’egemonia sul territorio. In quell’occasione i carabinieri scoprirono Vincenzo Lomonaco, allora sorvegliato speciale, in compagnia di Oliveri, Giuseppe Pagano e Giuseppe Calandrino. Tutti operativi tra Castiglione di Sicilia e Giarre.
Nell’elenco degli imprenditori vessati, come rivelato durante la conferenza stampa, ci sono l’azienda agricola Vagliasindi, Tornatore, recentemente presente al Vinitaly e tra le principali per la produzione di vitigni autoctoni, cantine Valenti e Mannino e vini Planeta feudo di mezzo. «Le vittime – ha spiegato il sostituto procuratore Iole Boscarino – hanno parzialmente collaborato. Sono stati sentiti dipendenti e collaboratori e le indagini sono tutt’ora in corso». In un’occasione Giuseppe Lomonaco – uno degli arrestati – ritenuto appartenente al clan Centorrino avrebbe tentato di imporre a una di queste aziende l’assunzione della moglie, creando dei contrasti con il gruppo avverso dei Brunetto. «Si tratta di una modalità d’agire – commenta Casarsa – che fa parte della vecchia mafia che si ricicla nell’imprenditoria. L’organizzazione operava secondo una logica multifunzionale che prevedeva il riciclo dei proventi delle estorsioni nel mercato della droga. L’imposizione alle aziende del pizzo era anche mentale».
Durante le perquisizioni, agli indagati a cui vengono contestati a vario titolo i reati di associazione mafiosa, estorsione e traffico di sostanze stupefacenti, sono state ritrovate delle sofisticate apparecchiature utilizzate per rilevare la presenza di microspie.
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