Cento meno uno. Sono 99 le persone a cui la procura di Catania ha fatto notificare un avviso di conclusione indagini nell’ambito dell’ampia inchiesta su mafia e scommesse online. Sfociata in due distinti blitz a novembre dello scorso anno. Dietro a decine di bookmaker con sedi in Albania, Malta e Curaçao si sarebbero celati gli affari della famiglia di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano e del clan Cappello. Scorrendo i nomi del provvedimento, lungo 35 pagine, c’è anche quello dell’ormai ex vicesindaco del Comune di Misterbianco, Carmelo Santapaola. Finito agli arresti domiciliari e dimessosi dall’incarico che gli aveva affidato il sindaco Nino Di Guardo.
A Misterbianco ormai da diversi mesi la tensione è salita alle stelle. Inevitabile conseguenza di quello che è stato un vero e proprio terremoto politico. Alle dure parole messe nero su bianco nell’ordinanza, in cui Santapaola veniva descritto dal giudice per l’indagine preliminare, Pietro Antonio Currò, come «una testa di ponte» per «infiltrare» Cosa nostra «nella politica», è seguito l’invio degli ispettori in municipio da parte della prefettura di Catania. Di Guardo, dal canto suo, ha sempre cercato di minimizzare le accuse nei confronti del suo numero due. Parlando, in occasione di un comizio pubblico, di «un’azione personale commessa per i fatti suoi». Riferendosi all’accusa di intestazione fittizia di un’agenzia di scommesse dietro alla quale si sarebbe nascosta l’attività di tre cugini di Santapaola: Carmelo, Vincenzo e Giuseppe Placenti, indicati dai pm come appartenenti a Cosa nostra e referenti mafiosi a Misterbianco e nella frazione di Lineri.
Per la Direzione distrettuale antimafia di Catania il politico finito nei guai avrebbe «aderito al sodalizio» attraverso l’agenzia di scommesse Orso bianco caffè. Da qui l’accusa di associazione a delinquere. Ma c’è dell’altro. L’ex vicesindaco «ha agito con l’aggravante di avere favorito la famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano, agevolandone l’infiltrazione nel mercato delle scommesse e dei giochi», scrivono i magistrati nell’avviso di conclusioni indagini. Di fatto la procura insiste nel considerare l’aggravante, la stessa che il gip aveva deciso di non riconoscere quando scattò la retata dei carabinieri. Particolare che aveva spinto il sindaco Di Guardo a spiegare, davanti i cittadini, che «un’intestazione fittizia non c’entra nulla con la mafia».
L’inchiesta della procura risulta chiusa anche nei confronti di Carmelo Placenti. Considerato uno dei principali referenti mafiosi nel territorio di Catania, con interessi che si sarebbero estesi – oltre che nel campo delle scommesse – anche nel mondo calcistico amatoriale. Due squadre a lui riconducibili, la Asd Lineri e la Asd Misterbianco, secondo gli inquirenti sarebbero state utilizzate per lavare denaro di provenienza illecita. Tra le persone finite indagate c’è anche Francesco Insanguine, allenatore della squadra di Placenti da un lato e presunto gestore di una agenzia a marchio Planetwin365 riconducibile al clan.
Secondo i magistrati ad avere avuto un ruolo importante nell’organizzazione del giro di scommesse era anche Cristian Di Mauro. Attivo nella «gestione – scrivono i magistrati – della rete commerciale con il compito di affiliare nuove sale giochi e scommesse e gestire le successive relazioni operative». Di Mauro non è solo il genero di Carmelo Placenti ma è considerato anche «il suo braccio destro». In assenza del parente a lui sarebbe spettato di intrattenere i rapporti con i fornitori dei siti utilizzati per il gioco illegale. In particolare con Riccardo Tamiro. Vero e proprio professionista del betting con un passato da responsabile per la Gran Bretagna del brand Betshop. L’imprenditore, originario di Reggio Calabria, al gruppo Placenti avrebbe fornito il sito Revolutionbet365.com. Mascherato, secondo i magistrati, dietro una società albanese legata a un prestanome del gruppo di origini balcaniche. Carmelo Placenti si sarebbe recato personalmente a Malta e a Tirana, capitale dell’Albania, accompagnato da Sebastiana Passini. Commercialista di fiducia del presunto boss, finita indagata perché a lei sarebbe stata demandata la gestione amministrativa delle pratiche del clan.
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