Le mafie nel calcio e i legami con le società sportive. A fare il punto è la relazione della commissione parlamentare antimafia che ne ha analizzato i possibili collegamenti tra le varie forme di infiltrazione mafiosa e lo sport. Dai rapporti con le tifoserie, passando per club e giocatori, con un occhio di riguardo anche al mondo delle scommesse legali e illegali. Un quadro ampio finito nella relazione di circa 100 pagine presentata dalla presidente Rosy Bindi e dal coordinatore del comitato Mafia e Sport, Marco Di Lello. Per quanto riguarda il Calcio Catania l’analisi si è concentrata su vicende giudiziarie che hanno coinvolto soggetti, a vario titolo, riconducibili a organizzazioni criminali e tesserati con società calcistiche professionistiche. Fra i 37 ascoltati in commissione, anche il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia etnea Alessandro Sorrentino, che lo scorso 9 febbraio ha approfondito la situazione della tifoseria catanese e lo spessore criminale di alcuni componenti dei gruppi ultras locali.
La data spartiacque per il mondo del calcio etneo è stata il 2 febbraio del 2007 quando l’ispettore di polizia Filippo Raciti rimase ucciso nel corso dei disordini scatenati dalle tifoserie durante il derby tra Catania e Palermo. «Le indagini successive a questo tragico episodio – ha dichiarato Sorrentino durante la sua audizione – avevano già dimostrato l’esistenza a Catania di gruppi ultras organizzati secondo metodi e strutture analoghe a quelli delle associazioni per delinquere». Tanto che la sentenza del tribunale etneo del 13 ottobre del 2014 aveva condannato in primo grado di dieci ultras del Catania, in particolare del gruppo della curva Nord Anr (Associazione non riconosciuta) per il reato di associazione a delinquere finalizzata al contrasto violento delle forze dell’ordine in occasione delle partite di calcio.
Per quanto, in un primo momento, non fossero emersi collegamenti diretti ed espliciti con la criminalità organizzata intesa come clan e famiglie mafiose del territorio, il sostituto procuratore ha ricostruito alcuni elementi sin da subito risultati analoghi a quelli riscontrati per le consorterie mafiose come il «mutuo soccorso dopo gli arresti con vere e proprie raccolte di fondi per sostenere le spese legali delle famiglie e il costante riferimento a schemi organizzativi delle attività violente con riferimento alle figure di capi». Il sequestro di armi da guerra come kalashnikov e di grandi quantitativi di droga aveva lasciato ritenere che si trattasse di gruppi legati in qualche modo alla criminalità mafiosa. Ulteriori indagini hanno consentito di accertare che «alcuni leader dei gruppi ultras maggiormente rappresentativi all’interno dello stadio Massimino vantavano rapporti diretti con la criminalità organizzata mafiosa sia per i legami di parentela con alcuni esponenti sia per i precedenti penali».
In particolare, il leader indiscusso del gruppo degli irriducibili Rosario Piacenti, considerato appartenente alla famiglia mafiosa dei Picanello, con precedenti per porto e detenzione di armi, resistenza e violenza a pubblico ufficiale, e un altro leader dello stesso gruppo, Stefano Africano, nel 2016 sono stati condannati per tentata estorsione aggravata dalla finalità di agevolare l’associazione mafiosa ai danni del giocatore Marco Biagianti. Al centrocampista del Catania i due capi ultras avrebbero chiesto cinquemila euro per sostenere alcune spese processuali. Il giocatore non si era costituito parte civile al processo dove aveva anzi sostenuto la tesi difensiva degli imputati, poi smentita dal tribunale, secondo la quale i soldi gli erano stati chiesti come forma di sostegno alla tifoseria.
Andando a ritroso, i rapporti fra le organizzazioni mafiose e il Calcio Catania erano emerse anche nel giugno del 2015 quando dalla denuncia del presidente Antonino Pulvirenti in merito a pressioni dei tifosi e tentativi di ingerenza nella gestione della squadra, era partita l’indagine denominata Treni del gol per cui però la procura aveva chiesto l’archiviazione del procedimento ritenendo che non potessero configurarsi reati di minaccia o di tentata estorsione. Piuttosto, le indagini hanno portato all’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare, confermata dal tribunale per il riesame, nei confronti di sette appartenenti a un’associazione a delinquere per frodi nelle competizioni sportive. Ai domiciliari anche il presidente Pulvirenti, insieme all’amministratore delegato Pablo Cosentino, all’ex direttore sportivo Daniele Delli Carri e quattro procuratori: Giovanni Impellizzeri, Piero Di Luzio, Fabrizio Milozzi e Fernando Arbotti accusati a vario titolo di aver concordato alcune vittorie del Catania dietro il pagamento di denaro. Attualmente tutti rinviati a giudizio.
Centrale la figura di Giovanni Luca Impellizzeri, socio maggioritario dell’agenzia di scommesse sportive Bet Pro Sicilia, che era uno degli sponsor della società del Calcio Catania. L’uomo si sarebbe avvalso di «una vasta rete di soggetti appartenenti al settore della gestione delle scommesse online, che lo coadiuvavano e con i quali interloquiva giornalmente, sia per puntare sia per raccogliere i proventi delle scommesse e del gioco d’azzardo delle agenzie del territorio».
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