Non solo grandi affari legati alla droga o alle estorsioni. «Controllo del territorio» per il sodalizio dei Cintorino, propaggine del clan Cappello a cavallo le province di Catania e Messina, avrebbe significato risolvere anche piccoli problemi di cuore e altre banali controversie private. E a occuparsene sarebbe stato direttamente l’uomo ritenuto il reggente del gruppo, […]
Mafia, il controllo del territorio tra piccoli problemi di cuore: «Lo abbiamo legato con le catene, come un cane»
Non solo grandi affari legati alla droga o alle estorsioni. «Controllo del territorio» per il sodalizio dei Cintorino, propaggine del clan Cappello a cavallo le province di Catania e Messina, avrebbe significato risolvere anche piccoli problemi di cuore e altre banali controversie private. E a occuparsene sarebbe stato direttamente l’uomo ritenuto il reggente del gruppo, Mariano Spinella, che ieri è finito in carcere insieme a un’altra quarantina di persone. Dalle indagini è emerso che il gruppo, nonostante gli arresti dell’operazione Isola Bella, avrebbe continuato a essere operativo su più fronti. A raccontarli agli inquirenti è stato Carmelo Porto, considerato il predecessore nella reggenza, che dal 2019 ha iniziato a collaborare con la giustizia. «Accanto alle nuove figure emergenti – racconta l’uomo dei Cintorino a partire dagli anni Novanta – emergono l’autorevolezza e la capacità di Spinella di controllare il territorio in maniera accorta e defilata».
Classe 1966, Mariano Spinella sarebbe anche lui uno storico affiliato che con il fratello Carmelo condivide il ruolo di «messaggero» del clan Cintorino. «Ambasciatore» di informazioni da e verso il carcere. Ma non solo. È a lui che, secondo quanto ricostruito nelle indagini, nel territorio di Calatabiano e dintorni, ci si rivolge per risolvere praticamente ogni questione. Sarà per «l’attitudine a dirimere controversie, attraverso il richiamo alla potenza e alla capacità di intimidazione», che a Spinella viene riconosciuta da tutti, anche dalla gip Simona Ragazzi. A ottobre del 2020, il caso del mese, riguarda un tradimento che ha causato la fine di una relazione sentimentale. Spinella interviene in difesa della donna tradita stabilendo che l’altro avrebbe dovuto evitare di mettere piede a Calatabiano e che, in caso di estrema necessità, avrebbe dovuto mantenere una certa distanza di sicurezza dalla donna.
«Minchia, non vuole sentire ragioni – dice Spinella mentre parla al cellulare senza sapere di essere intercettato – perché quello gli ha confermato che ha dormito con lei. Gli ha detto che erano già sei mesi che si sentivano tramite telefono». Una confessione che non lascia spazio alle interpretazioni. Ma la soluzione, per Spinella, è presto fatta: «Basta che lui a Calatabiano non si fa più vedere». Solo che quell’uomo proprio a Calatabiano ci lavora. «Basta che quello (l’altro uomo, quello con cui la ex lo ha tradito, ndr) non lo guarda in faccia, la testa la deve abbassare non per terra, la deve mettere tra i piedi». E anche questa è risolta. Solo un mese prima, la missione avrebbe riguardato sì il controllo del territorio – in questo caso di Gaggi, nel Messinese – ma per una battuta di caccia. «Questa mattina è venuto mentre noi eravamo a caccia ed è ancora qui che fa cinema. Si sente troppo sperto (furbo, ndr). Qua la cosa non finisce bene». Un nuovo caso per il messaggero Spinella, che ha già la soluzione pronta: «Tu gli deve dire: “Mi ha mandato a dire Mario (diminutivo con cui in molti chiamano Mariano, ndr) che devi finirla».
Non tutto, però, all’interno del clan Cintorino sarebbe stato risolto con lo stesso savoir-faire. Specie quando l’oggetto del contendere sono le armi, e non quelle da usare per la caccia. Tra gli indagati finiti in carcere ieri c’è anche Riccardo Pedicone. Il 45enne condannato, insieme ad altri tre uomini, per la sparatoria nel quartiere Librino di Catania dell’agosto del 2020: un affronto tra le vie del rione, tra affiliati ed esponenti di vertice dei Cursoti milanesi e del clan Cappello, in cui sono morti Luciano D’Alessandro e Vincenzo Scalia, detto Negativa. Nell’inchiesta di ieri, il gruppo fa ricorso a una «peculiare forma di violenza – come si legge nell’ordinanza della gip – con tratti di brutalità e di sevizie» solo quando si tratta di recuperare un’arma. Al momento di riconsegnarla, l’uomo a cui era stata affidata non si fa trovare. Dopo tre giorni di ricerche, il gruppo lo rintraccia e lo porta sul lungomare di Giardini Naxos. «Lo abbiamo legato con una catena al collo – racconta, senza sapere di essere intercettato, Cristopher Cintorino parlando al plurale – come un cane, e una catena ai piedi e lo abbiamo lasciato così un giorno e una notte». Giusto il tempo di ritrovare l’arma perduta.